Marginalità e povertà non solo in carcere

In più occasioni, l’abbiamo detto e scritto, purtroppo dopo i tanti tavoli tecnici, commissioni e i paludati convegni, spesso destinati alla auto rappresentazione (di chi li organizza), il problema delle carceri, del sovraffollamento e della sofferenza del suo “contenuto umano” è rimasto inalterato e colpevolmente non risolto: la gente in carcere ancora soffre e si ammazza. Purtroppo troviamo sempre eccellenti propositi per risolvere a belle parole e dotte argomentazioni accademiche i non pochi problemi dell’esecuzione penitenziaria: ma riemergono sempre le stesse commissioni che vantano onori di antiche nomine e conferimenti, talvolta quest’ultimi solo politici. Emerge così, da un lato, l’apparente intenzione di risolvere i problemi delle carceri e, dall’altro, l’evidente necessità di consolidare di volta in volta posizioni a suo tempo acquisite, con l’immancabile compiacimento burocratico. La realtà dimostra invece che nonostante le (apparenti) buone intenzioni e la riproposizione di stantie formulazioni tecniche, nulla sia migliorato circa la grave situazione delle carceri. Alla presidente Giorgia Meloni e al ministro Carlo Nordio le loro determinazioni. A sostegno di questa visione drammaticamente negativa e fuori da ogni logica attuale concernente la nuova concezione degli istituti di pena, scolpito nella storia rimane a futura memoria il mostruoso progetto per oltre 1500 detenuti “pensato” pochi anni fa per la città di Nola.

Una marginalità umana, di povertà durissima

In mezzo a queste situazioni che oscillano tra opachi consensi burocratici e decisioni tecniche campate in aria, permane la drammatica verità di uno sconosciuto mondo che appare e scompare dentro il carcere senza lasciare traccia di sé: una realtà fatta di marginalità umana, di persone senza volto né storia, di povertà durissima, di malattia e sofferenza. L’ennesimo luogo “altro”, ipocritamente rimosso dalla coscienza del quotidiano, simile ma più strutturato rispetto ad altri luoghi più casuali che vedono dormire persone dentro scatole di cartone ai margini dei marciapiedi, o intere famiglie che vivono dentro vecchie automobili. Una verità spostata che non risolve l’estrema povertà di una situazione umana anche nelle carceri, fatta da coloro che nulla hanno perché nulla posseggono. Una realtà vissuta da chi si aggrappa alla dipendenza di sostanze per sopravvivere sprecando e accorciando il tempo della propria unica vita. O l’altro peggiore e non meno drammatico pianeta abitato da chi che ha perduto anche la mente passando nel ruolo ufficiale di malato psichiatrico. Tutta questa umanità che mescola lingue, culture, origini e provenienze diverse si ritrova gettata nel carcere trasformato in un orribile destino di una enorme scatola di “rifiutati”.

Non tutto è abbandonato alla povertà e al degrado

A Trastevere, il San Gallicano è uno degli ospedali storici nel centro storico di Roma che fu commissionato nella prima metà del Settecento all’architetto Filippo Raguzzini il quale, riuscendo a coniugare esigenze funzionali e formali, realizzò all’epoca una struttura riconosciuta come una vera avanguardia architettonica. Attualmente è la sede della Comunità di Sant'Egidio e, dal 2007, del prestigioso Inmp, l’Istituto Nazionale Migrazione e Povertà. Questo ente del Servizio Sanitario Nazionale risulta poco noto, forse perché assistendo meritoriamente quella parte della “deriva umana” resta scomodo a chi preferisce cancellare la memoria, preferendo meglio distinguersi tramite altre auto rappresentazioni più fortunate perché più visibili. La mission dell’Istituto è la promozione della salute dei migranti che si pone a contrasto delle tipiche malattie della povertà, fronteggiando in silenzio le sfide socio-sanitarie poste dalle popolazioni più vulnerabili: tra queste – meritoriamente – coloro che vivono nelle comunità separate e nelle carceri. L’obiettivo è semplice: cura di tutte le persone, italiani e migranti che si trovano in una condizione di grave disagio economico e sociale, quelli che incontrano maggiori difficoltà nell’accesso all’assistenza proprio perché poveri o isolati. Questi enti dello Stato che rappresentano quanto di meglio è presente nella pubblica amministrazione nel sostegno e nella salute, dovrebbero essere i più ascoltati e promossi nella scala dei valori pubblici. Forse meno passerelle accademiche e più umanità, scienza ed efficienza starebbe meglio al posto dei vari talk-show.

(*) Vicepresidente del Cesp

Aggiornato il 28 aprile 2023 alle ore 10:51