La regola attuale del fuorigioco: un caso di assenza del pensiero

Francamente, non se ne può più. La premessa necessaria è che io sono tutto tranne che tifoso juventino; anzi chi mi conosce e frequenta sa bene che sono stato sempre molto critico verso una squadra il cui presidente – ribadendo a scanso di equivoci una affermazione di Giampiero Boniperti – non perde occasione per precisare che per la Juventus vincere non è importante ma è “la sola cosa che conti”; generando con questa asseverazione quanto di più contrario ci sia all’ideale sportivo celeberrimo di Pierre de Coubertin, per il quale invece partecipare è più importante di vincere.

Tuttavia, tralasciando queste affermazioni che si commentano da sole, non posso rimanere indifferente all’annullamento di tre reti patito da Alvaro Morata durante la gara con il Barcellona, pochi giorni or sono. Si tratta infatti di applicare una regola del fuorigioco sostanzialmente inapplicabile e assurda da tutti i punti di vista. Infatti, si passa il tempo a disquisire se il malleolo del giocatore fosse oltre la linea o se lo fosse la falangetta del mignolo sinistro oppure – perché no? – il naso troppo appuntito. E la tecnologia non aiuta affatto, acuendo invece i dubbi e le incertezze quando viene usata, dal momento che con assoluta disinvoltura spesso gli arbitri decidono di non farvi ricorso: e ciò spiegabilmente, dal momento che il suo uso risulta inutile.  

Ora, se si riflette brevemente sul cosiddetto fuorigioco e sulle motivazioni che indussero a farne una regola tecnica del calcio, si possono capire cose fondamentali. La ragione per cui si escogitò questa regola va individuata nella necessità di evitare che l’attaccante, piazzandosi in modo scaltro dietro la linea dei difensori avversari, se ne avvantaggi troppo, facendosi passare il pallone dai compagni senza avere davanti nessun difensore a contrastarlo: si tratta insomma dell’esigenza di rendere “meno facile” segnare astutamente una rete, promuovendo invece la capacità tecnica di superare il difensore dopo averlo fronteggiato da parte dell’attaccante. Insomma, un principio di lealtà e correttezza sportiva invece di una astuzia, di un sotterfugio.

Fu così varata una specifica regola per disciplinare il caso in esame, stabilendo che in caso di fuorigioco, l’arbitro deve fermare il gioco assegnando un calcio di punizione a favore della squadra che si difende. E dovendosi applicare questa regola – tralascio qui tutti i passaggi intermedi – si giunse alcuni decenni or sono a stabilire che si doveva considerare un attaccante in posizione di fuorigioco e perciò irregolare, quando fra attaccante e difensore, nel momento in cui partiva l’ultimo passaggio destinato a raggiungere il primo, fosse tra i due visibile – si diceva – “luce”. Con il termine “luce” si intendeva affermare che non doveva esservi sovrapposizione, neppure parziale, fra le sagome dei due giocatori – attaccante e difensore – guardate in prospettiva, ma appunto dovesse invece registrarsi un vuoto che facesse trapelare la “luce” fra le due: soltanto in questo caso il gioco era irregolare e andava fermato. E si capiva che dovesse essere così proprio per ragioni legate al principio che si voleva difendere, quello di non avvantaggiare troppo un astuto attaccante nel posizionarsi dietro la linea dei difensori. Infatti, se doveva esserci “luce” fra i due giocatori, era perché in tal caso – e soltanto in tal caso – poteva esservi l’evidenza di un vantaggio concretamente ascrivibile all’attaccante, il quale doveva trovarsi, con tutto il corpo, almeno mezzo metro più indietro del difensore: altrimenti “luce” non poteva affatto scorgersi. Insomma, il principio da affermare era perfettamente coeso alla regola varata e questa a sua volta era applicabile senza soverchia difficoltà. Troppo bello e soprattutto troppo facile.

Poi i sapientoni incapaci di pensiero cambiano tutto, adottando la regola attuale, in forza della quale se il malleolo sinistro di un attaccante sporge di mezzo centimetro oltre la linea dei difensori, allora il gioco va fermato e il gol eventualmente segnato va annullato, come appunto accaduto a Morata contro il Barcellona. Risultato: una follia assoluta, un delirio di ipotesi e contro ipotesi, come era ovvio che fosse con una regola che non è una regola, in quanto se, per applicare una regola, si scontrano mille interpretazioni opposte, tutte possibili, allora non ci troviamo certo in presenza di una regola ma di una semplice ma inconfessata scemenza. Questa la situazione attuale nel corso delle partite, situazione grottesca ed assurda, perfino comica a volte, ma che finisce col danneggiare la purezza del gioco.

Due brevi conclusioni. La pseudo regola attuale non soddisfa nessuna esigenza tecnica del gioco, per il semplice motivo che la sporgenza del malleolo o della falangetta del dito o del naso non significa certo che l’attaccante si sia davvero avvantaggiato, posizionandosi dietro la linea dei difensori. Avrà posizionato il naso, il malleolo o la falangetta, ma ciò non basta per avvantaggiarsi allo scopo di segnare una rete. Aver stabilito questa regola assurda mostra, allora, soltanto una crassa ignoranza delle esigenze tecniche del gioco e, in definitiva, una pericolosa assenza del pensiero. Infine, va da sé che questa folle pseudo regola, del tutto contraria alla genuina essenza del gioco, risponde ad una sola ragione: che ciascuno – arbitro, segnalinee, terzo o quarto uomo – faccia ciò che crede senza render conto a nessuno, tanto può esser vero tutto e il contrario di tutto. Ciò che in definitiva si vuole, ma senza confessarlo: l’arbitrio assoluto elevato a sistema regolativo del gioco.

Aggiornato il 20 dicembre 2022 alle ore 10:02