Maradona, un uomo solo

“Amare significa rimanere soli”, questo il celebre verso di Rainer Maria Rilke, che pare sintetizzare in modo emblematico la vicenda personale di Diego Armando Maradona. Questo grande campione – letteralmente intriso di grazia ultraterrena che si manifestava in un inarrivabile talento calcistico – era infatti la personificazione della generosità, della disponibilità verso chi avesse bisogno e a lui facesse ricorso. Ecco perché per comprendere in modo acconcio chi fosse Maradona, non basta assolutamente fermarsi alla contemplazione delle meraviglie di cui era capace su un campo di calcio – come per esempio la famosa rete segnata all’Inghilterra dopo aver scartato sei avversari di seguito, lui come in sospeso volo e gli altri appesantiti oltremodo da una impossibile e perfino grottesca rincorsa – ma occorre considerarlo fuori dal campo. In questo senso, si capisce come l’osservazione fatta giorni or sono da Antonio Cabrini, secondo il quale se Maradona avesse militato nelle file della Juventus, non avrebbe avuto la vita sregolata che ha invece seguito, in quanto sarebbe stato meglio controllato, appaia molto riduttiva ed incapace di cogliere lo specifico di questa personalità. Ci troviamo infatti di fronte ad uno di quegli esseri umani – assai rari nel panorama di oggi – che, se guardato da lontano, come evidentemente la maggioranza di noi è costretta a fare, sembra quasi un coagulo di nefandezze (droga, alcol, figli naturali come funghi…) e perciò un classico “cattivo esempio”; e che, tuttavia, osservato da vicino – come hanno fatto i pochi e veri amici che ebbe, quali alcuni suoi compagni di squadra del Napoli – splende di una luce affatto diversa che ne fa un’anima di speciale grandezza.

Di solito, per coloro che popolano questo pianeta, vale il contrario: visti da vicino, perdono ogni aura di grandezza e nobiltà e probabilmente per questo Georg Wilhelm Friedrich Hegel poté affermare (rubando l’espressione a Johann Wolfgang von Goethe che la mette in bocca ad Ottilia ne “Le affinità elettive”) che “non c’è eroe per il proprio cameriere”: per significare appunto che lo stesso Napoleone, celebrato condottiero europeo, per il maggiordomo che ogni sera gli sfilava gli stivali appariva uno qualunque, preda dei medesimi difetti e vizi di tutti gli uomini. Invece, Maradona – visto da vicino, come possiamo vederlo in virtù delle testimonianze di chi lo frequentò da presso – splende di luce propria. La ragione sta nella circostanza – enunciata al principio di questa nota – che egli amò con generosità chi gli stava vicino, dandone prova in diversi modi, elargendo denaro, attenzioni, donando possibilità di guadagno o di lavoro, esponendosi e difendendo personalmente i compagni da ogni insulto lecito o illecito e sempre con una speciale attenzione per i più deboli e bisognosi, forse perché non poteva dimenticare un’infanzia vissuta nel bisogno e nella debolezza. Un episodio per tutti. Mentre giocava nel Napoli, un suo semisconosciuto compagno, tale Pietro Puzone – una riserva – gli confidò che una famiglia del suo paesino di origine nell’entroterra napoletano, Acerra, non poteva fare operare il figlioletto di pochi anni per una grave malformazione, in quanto occorrevano venti milioni per condurlo in Francia e per sottoporlo all’intervento. Maradona pensò subito di organizzare una partita del Napoli ad Acerra per raccogliere i fondi. Ma il presidente Corrado Ferlaino si oppose, in quanto la compagnia assicurativa non avrebbe coperto gli eventuali infortuni dei calciatori nel corso di un’amichevole non prevista e, per giunta, da disputarsi su un campo di patate, gibboso, fangoso e punteggiato da pericolosissimi sassi. Maradona mise subito mai al portafogli, pagò dodici milioni per una polizza assicurativa suppletiva, condusse, il 25 gennaio 1985, la squadra intera ad Acerra, giocò dando spettacolo – lui, il più celebre giocatore del mondo su uno sconnesso campetto di periferia, stipato all’inverosimile e contro una squadretta di terza categoria – raccolse la somma necessaria, integrandola di persona e con l’ausilio dei suoi compagni, e il bambino fu salvo.

Questo era Maradona, uno dei pochi illuminati dalla grazia, anche se cadde nel vortice della droga: ma c’è un perché che bisogna intendere bene. Maradona, infatti, doveva portare sulle spalle, proprio in quanto baciato dalla grazia, un peso sconosciuto a quasi tutti gli altri, il gravame della sua stessa umanità, una umanità di straordinaria eccedenza, debordante, mai appagata, pressoché impossibile da sopportare da soli. Per riuscirvi, per non restarne schiacciato – come purtroppo è accaduto – avrebbe avuto bisogno di essere molto amato, molto accolto, molto corrisposto. Nulla di ciò. Fu usato, sfruttato, circuito, truffato da molti di coloro che lo circondavano; perfino dai figli o almeno da alcuni di essi, come l’indecoroso spettacolo dopo la sua morte sta testimoniando. Era dunque un uomo solo, lasciato nella impossibilità di portare da solo il peso immane della sua umanità. E siccome spesso la solitudine – quando si fa insopportabile – si scioglie in dolore, ecco la droga, nel tentativo assurdo di trovare altrove ciò che accanto a lui non poteva rinvenire, ecco le apparenti dissolutezze, ecco gli stravizi, ecco la inestinguibile sete di una vita che non sapeva di non poter vivere. Infatti, è morto da solo, dimenticato su di un materasso senza neppure un lenzuolo e in una stanza priva servizi igienici appena normali. Omicidio colposo, alcuni sostengono, perché non avrebbe ricevuto le terapie necessarie dopo l’intervento al cervello di pochi giorni prima. Forse. Ma ormai non importa. Ormai sappiamo bene cosa sia accaduto negli anni.

Si badi. Per appurare come e quanto Maradona fosse baciato dalla grazia, non occorreva goderne le giocate, sia pure inimitabili. Sarebbe bastato osservarlo mentre, pochi anni or sono, invitato a partecipare ad una nota trasmissione televisiva, accennò pochi passi di danza insieme ad una ballerina professionista. Questa ovviamente non sbagliava un passo, ciascuno tecnicamente perfetto; Maradona, pur faticando per non sbagliare – e forse sbagliò pure qualcosa – si muoveva invece con una leggerezza e con una naturalezza sconosciute alla sua compagna di ballo, evidenziando come questa fosse certo brava nella tecnica, ma del tutto sprovvista della grazia necessaria. Ecco infine perché egli è morto relativamente giovane, almeno per la media anagrafica del nostro tempo. Non poteva essere altrimenti e dobbiamo saperlo. Perché, come ci ricorda Menandro – nella traduzione di Giacomo Leopardi – “muor giovane colui ch’al cielo è caro”.

Aggiornato il 20 dicembre 2022 alle ore 10:10