La regia nel pallone

Chi ama il calcio, oggi più che mai, non ha che l’imbarazzo della scelta. Le offerte televisive per assistere alle partite nazionali e internazionali sono numerose e diverse, mentre si moltiplicano i canali e le repliche. Tuttavia, non sempre è detto che a un maggior numero di possibilità tecniche corrisponda una migliore qualità delle trasmissioni. Lo prova il tipo di regia approntato, per esempio, da Sky per le partite di calcio internazionale. La strabiliante impressione è che il regista di turno non abbia la minima idea di cosa stia trasmettendo e che perciò usi la medesima tecnica registica che potrebbe usare per il concorso di Miss Italia o per una tribuna elettorale. Infatti, è ovvio che uno spettatore amante del calcio ami vedere di una partita la bellezza del gesto tecnico del campione, lo svolgersi corale dell’azione, la disposizione tattica della squadra nelle varie fasi del gioco, tutto ciò che insomma rappresenta l’essenza del calcio e che attorno al calcio fa muovere centinaia di milioni di persone (e di euro) in tutto il mondo. E invece no. Il regista – forse preda di interrogativi esistenziali tanto inopportuni quanto inutili – opera in tutt’altra direzione.

Così, per la disperazione e la stizza del telespettatore, la telecamera si sofferma nell’ordine su: la faccia in primo piano dell’allenatore della squadra che attacca, per mostrarne l’ansia e l’attenzione; la faccia in primo piano dell’allenatore della squadra che si difende, per mostrarne la preoccupazione e il disappunto; la faccia in primo piano del difensore che ha appena commesso un grave fallo ai danni di un avversario, per mostrarne la caparbia risolutezza; la faccia in primo piano di un tifoso, per mostrarne lo sbalordimento per un tiro sbagliato; la faccia in primo piano di un calciatore che, riserva di una riserva, sbadiglia in panchina, del tutto disinteressato a ciò che fanno i compagni sul campo; la faccia in primo piano del tecnico in seconda di una delle due squadre che, immancabilmente, viene dal telecronista definito “imperturbabile”; il volto stralunato in primo piano di un massaggiatore; il sedere in primo piano di un calciatore che si allena a bordo campo per il necessario riscaldamento prima di sostituire un compagno; la schiena in primo piano del quarto uomo che consulta l’orologio per determinare i minuti di recupero; il sedere in primo piano di un addetto al campo che recupera un pallone finito chissà dove; la ripetizione di un’azione in cui la palla è finita in fallo laterale, vista da tre prospettive diverse, ovviamente sempre in primo piano; lo sguardo allucinato in primo piano di un tifoso che dagli spalti rischia l’infarto per una rete mancata; lo stacco di testa ravvicinato in primo piano di un difensore, senza che ovviamente si possa vedere dove finisca il pallone.

Mi fermo qui per non annoiare. Il punto è che mentre il regista si diletta con simili insulse riprese, le squadre giocano, le azioni si sviluppano, i tiri in porta carambolano su pali e traverse, i campioni eseguono rovesciate mai viste, i portieri parano l’imparabile, il pubblico impazzisce, rumoreggia, applaude, fischia. Ebbene, mentre tutto questo accade, il malcapitato telespettatore, che pure ha pagato non poco per assistere alle partite, ne coglie soltanto l’eco, per come essa giunge attraverso gli ululati di chi invece alla gara può assistere davvero: gli spettatori sulle tribune. Per lo stesso motivo – vale a dire, per un’endemica e inconsapevole dissennatezza registica – accade ancora che l’azione decisiva di una partita non venga trasmessa in diretta, dal momento che il regista, ritenendo più opportuno mandare in onda per tre volte di seguito un’occhiataccia lanciata dall’arbitro a un difensore colpevole di un pericoloso intervento, se l’è beatamente perduta: poco male, la si farà vedere con la tecnica del “replay”.

Sicché, si vedono in diretta insulsaggini di vario genere, e in registrazione le azioni più significative: il che vale dire che la partita, in alcune delle sue fasi salienti, non si vede in diretta, ma registrata. Inoltre, il povero telespettatore viene frastornato dalla circostanza che le orecchie gli hanno già permesso di cogliere il fragoroso rumoreggiare del pubblico in tempo reale, ma egli non sa il perché: lo potrà conoscere solo dopo che il regista – bontà sua – ricordandosi che sta trasmettendo una partita di calcio (e non la replica del Grande fratello 32) – gli permetterà di vedere, registrata, l’azione bellissima che gli altri hanno potuto ammirare in diretta sul campo. Ma, ahimè, l’immediatezza della cronaca diretta è irrimediabilmente perduta (e grida vendetta!). In compenso, sappiamo tutto sulla psicologia di allenatori, arbitri, raccattapalle, riserve, spettatori, su dettagli insignificanti, su falli laterali e pacche sulle spalle. Insomma, è come se invece che una partita si volesse trasmettere uno psicodramma collettivo, per cui gli sguardi, le perplessità, le fronti corrugate sono determinanti e i gol o i colpi di tacco non contino nulla. Aiuto! Che qualcuno chieda a questi registi se uno di loro ha mai giocato al pallone.

Aggiornato il 20 ottobre 2023 alle ore 10:26