Rosmini e Manzoni, un'amicizia spirituale

«Il Rosmini è una delle sei o sette intelligenze che più onorano l’umanità». Queste parole le pronunciò Alessandro Manzoni, attestando l’enorme stima per l’animo e per l’intelletto di Antonio Rosmini, uno tra i più importanti padri spirituali dell’autore dei Promessi Sposi. I due si conobbero nel 1826 e dal loro incontro nacque un’amicizia importante, basata su di un rispetto reciproco che, nel corso degli anni, garantirà al loro rapporto intellettuale una grande intensità, che s’interruppe solo nel momento del trapasso del sacerdote roveretano fondatore dell’istituto della  Carità il quale, dal suo letto di morte, lasciò al Manzoni le tre parole che costituivano il suo testamento spirituale: Adorare, Tacere, Godere. Nel 1826 i due intellettuali iniziarono un ricco carteggio che mise in evidenza la loro comunione d’idee su molti argomenti e il reciproco desiderio di migliorarsi attingendo informazioni, consigli e critiche l’uno dall’altro. La loro amicizia conobbe un ulteriore sviluppo quando il Manzoni, dopo il secondo matrimonio con Teresa Borri (la prima moglie, Enrichetta Blondel, era morta nel 1833)  decise di trascorrere le vacanze estive nella villa di Lesa sul lago Maggiore. Infatti, il luogo scelto dal letterato milanese era nei pressi  di Stresa, località di residenza di Antonio Rosmini. 

La vicinanza favorì i loro incontri e, ben presto, vederli discorrere o passeggiare lungo la riva del lago divenne sempre più facile. Antonio Rosmini, formatosi negli studi giuridici e teologici a Padova e incoraggiato da papa Pio VII ad avvicinarsi alla filosofia, venne rapito dalla grandezza letteraria e dai nobili sentimenti dei Promessi Sposi manzoniani, opera pubblicata per la prima volta nel 1827 e frutto della revisione del Fermo e Lucia. 

Nel contempo, Alessandro Manzoni apprezzò il contenuto del Nuovo saggio sull’origine delle idee pubblicato nel 1831, primo lavoro di una certa importanza filosofica del sacerdote di Rovereto, futuro beato Antonio Rosmini. Opera nella quale Rosmini affronta il problema della conoscenza, criticando l’empirismo e l’innatismo e affermando che la conoscenza razionale necessita di una sola idea innata: “l’idea dell’essere”. Quest’ultima proveniente, sempre secondo il sacerdote, direttamente da Dio e considerata «il vertice del processo astrattivo del pensiero». Per il filosofo di Rovereto l’idea dell’essere è la fonte di tutti i principi della conoscenza. Egli chiamò la conoscenza razionale “percezione intellettiva”, in quanto sintesi, secondo lui, tra la sensazione, contenuto empirico, e l’idea dell’essere rappresentante una forma innata. Quindi, Rosmini, attraverso il suo pensiero filosofico, “progettò” quello cha Kant avrebbe definito un giudizio sintetico a priori, perché contenente preziosi elementi di novità e universalità. 

Manzoni, dopo aver letto l’opera, manifestò a Rosmini la sua condivisione generale all’interpretazione critica della filosofia kantiana e post-kantiana, ma, contemporaneamente, non mancò di comunicare la propria difficoltà a pensare l’“idea dell’essere” che per Rosmini era all’origine di tutte le altre idee. 

L’amicizia tra Manzoni e Rosmini uscì più forte anche dal loro confronto sull’origine del linguaggio. Infatti, su tale argomento, le loro opinioni divergevano: la prospettiva manzoniana era antisensistica, ma differentemente dall’amico roveretano, anche antiinnatististica. Le diverse vedute, che almeno inizialmente sembravano delle divergenze incompatibili, divennero un intreccio culturale capace di migliorare ancor di più il loro rapporto ed evidenziare come anche per Antonio Rosmini, pur con modalità differenti, le questioni legate all’origine del linguaggio e alla sua importanza nel dibattito culturale romantico siano state di rilievo suscitando nell’autore delle massime di perfezione cristiana grande entusiasmo intellettuale. 

Quindi, come spesso accade nelle migliori amicizie, sia sotto il profilo umano che in quello intellettuale, le divergenze rappresentarono un arricchimento per entrambi e, soprattutto, una nuova riflessione proprio sulle questioni che maggiormente li avevano “divisi”, fornendo ad entrambi una costante possibilità di aggiornamento e perfezionamento delle rispettive peculiarità. L’influenza reciproca, ad esempio, fu all’origine per Manzoni del ripensamento che ebbe sulla questione fra storia e invenzione, fra “vero storico” e “vero poetico”. 

Venne influenzato dalla filosofia e dall’insegnamento rosminiano sia nel discorso Del romanzo storico che nel dialogo Dell’Invenzione. Anche su Antonio Rosmini non tardò a manifestarsi il pensiero manzoniano e, dopo aver ascoltato alcune obiezioni di Alessandro Manzoni sulle teorie linguistiche, non tardò a modificare le sue convinzioni in materia sentendosi anche spronato dall’amico scrittore. La loro fu un’amicizia autentica, supportata da un equilibrio tra fede e pensiero tale da farla annoverare fra i rapporti intellettuali più importanti del XIX secolo. 

Non meno importante per il loro rapporto fu l’impegno politico di entrambi in anni cruciali per l’Italia e per la formazione unitaria del Paese. I due  amici, insieme a Vincenzo Gioberti, incarnarono quel filone del pensiero che approfondì il ruolo della cultura cattolica all’interno del dibattito risorgimentale e, in particolare, del rapporto tra Stato, nazione e popolo. Il sentimento patriottico italiano di Manzoni e Rosmini, seppur con sfumature politico-amministrative di una certa importanza, fu rilevante (così intenso che le autorità austriache si scagliarono con atteggiamenti di ostilità contro il loro “suddito” Antonio Rosmini). 

Rosmini, rispetto all’amico Manzoni, s’impegnò maggiormente nella riflessione teorica e dottrinale ma questo non sminuì il suo sentimento per la futura Patria italiana e per quelle sue idee, tra unità e federalismo, che a distanza di molti decenni dall’Unità d’Italia sembrano essere di una attualità sconcertante. 

La visione politica di Manzoni prediligeva l’aspetto unitario mentre l’amico Rosmini nel suo Sull’unità d’Italia con le seguenti parole faceva comprendere bene la sua “visione” risorgimentale affermando che «l’unità nella varietà è la definizione della bellezza. Ora la bellezza è per l’Italia. Unità la stretta possibile in una sua naturale varietà: tale sembra dover essere la formula della organizzazione italiana». Anche grazie all’amicizia tra Rosmini e Manzoni si è potuto costruire un percorso risorgimentale basato su aspirazioni auliche e concrete allo stesso tempo, marchio indelebile di spiriti superiori.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:33