Dall’Ue 180 miliardi, ma l’Italia deve fare le riforme

Senza dubbio in un momento come questo risorse a fondo perduto e prestiti agevolati sono tutti ben accetti e, sicuramente, sarebbe scorretto ritenere non positivo quanto finora preannunciato. Intanto è un grande risultato perché come più volte da me ricordato l’Unione europea per noi è davvero un riferimento essenziale e, come ripeteva il commissario Karel Van Miert “l’Unione europea è un treno lento ma che non si ferma mai”. Penso che il presidente Giuseppe Conte si sia ricreduto sulla opportunità di “fare da soli” in caso di un mancato intervento della Unione.

Ma ora, come ha giustamente stigmatizzato sulla rivista “FormicheGiuseppe Pennisi, nel rispetto delle raccomandazioni al nostro Paese pubblicate dalla Commissione la settimana scorsa, l’Italia per accedere alle risorse comunitarie dovrebbe assicurare:

  1. politiche di bilancio tali da permettere una ripresa economica a medio termine e la sostenibilità del debito della pubblica amministrazione;
  2. aumentare gli investimenti pubblici e privati;
  3. migliorare il coordinamento tra Stato centrale e Regioni;
  4. rafforzare la sanità;
  5. sostenere la fasce deboli più colpite dalla crisi;
  6. mitigare la disoccupazione con politiche attive del lavoro;
  7. rafforzare istruzione e formazione a distanza tramite strumenti digitali;
  8. fare giungere liquidità all’economia reale soprattutto alla piccole e medie imprese ed alle imprese innovative;
  9. porre l’accento su investimenti “verdi” e digitali; e soprattutto
  10. migliorare l’efficienza del sistema giudiziario e l’efficacia della pubblica amministrazione.

Questo decalogo di obblighi fa più paura delle osservazioni e delle controdeduzioni che su tale proposta faranno Paesi rigoristi come l’Austria, i Paesi Bassi, la Danimarca e la Svezia o Paesi, certamente non ben disposti ad una elargizione a fondo perduto così elevata, come la Polonia, la Ungheria e le Repubbliche Baltiche.

Fa più paura perché non credo sia possibile rispondere, in tempi certi, a tre punti chiave delle raccomandazioni comunitarie, mi riferisco in particolare ai punti b), f) ed l).

Cominciamo con il punto b) in cui l’Unione europea chiede di “aumentare gli investimenti pubblici e privati”. È vero che in 12 mesi abbiamo realizzato un’opera impegnativa come il nuovo ponte di Genova ma è vero anche che dal 2015 ad oggi abbiamo speso per interventi infrastrutturali di rilevanza strategica appena 4,1 miliardi (ripeto in cinque anni) e che dal 2014 al 2020, delle risorse comunitarie relative ai Fondi Pon e Por, siamo stati capaci di spenderne appena 5 miliardi di euro su oltre 38 miliardi di euro. E queste negatività congenite nella nostra pubblica amministrazione e nella azione sistematica dei Governi che si sono succeduti nell’ultimo quinquennio sono note alla Commissione europea. L’Unione europea non può, infatti, accettare un trasferimento di risorse ad uno Stato della Unione incapace di garantire investimenti in conto capitale certi, misurabili e realizzabili in un arco temporale accettabile. L’Unione vuole, in realtà, che queste risorse generino un aumento del Prodotto Interno Lordo, un aumento che produca benefici diretti ed indiretti non solo per il nostro Paese ma per l’intero assetto socio economico della Comunità.

In merito al punto f) con cui si chiede di mitigare la disoccupazione con politiche attive del lavoro, appare evidente che i tre esempi prodotti nell’ultimo triennio dal nostro Paese con gli “80 euro per i salari bassi”, con il “reddito di cittadinanza” e con il “quota 100” non sono assolutamente in linea con una simile richiesta in quanto si configurano come una forma assistenzialistica che non genera assolutamente crescita attiva del lavoro e non genera aumento del Pil pro capite. L’Unione europea più volte ha ricordato quanto fosse anomala la scelta del nostro Paese di “bruciare” annualmente risorse per puro assistenzialismo, risorse annualmente pari a circa 14 miliardi che, se investite nella realizzazione di opere infrastrutturali, avrebbero davvero generato livelli occupazionali elevati, avrebbero inciso nell’aumento dei consumi e avrebbero aumentato di almeno due punti il Prodotto Interno Lordo.

In merito al punto l), cioè quello mirato al miglioramento dell’efficienza del sistema giudiziario e dell’efficacia della pubblica amministrazione, purtroppo è un obiettivo annunciato da tutti i Governi che si sono succeduti negli ultimi trenta anni ma è rimasto sempre non attuato e aggiungo, mentre quello legato alla efficienza del sistema giudiziario è una esigenza quanto meno capita e i Governi sanno che sono sempre meno coloro che investono nel nostro Paese per la limitata garanzia di un sistema giudiziario, la esigenza di rendere efficace la pubblica amministrazione rimane solo un titolo dei vari programmi di Governo. L’indicatore della completa inefficacia della pubblica amministrazione, specialmente quella degli ultimi anni, è dato dal tempo che intercorre tra la emanazione di una norma e la pubblicazione dei Decreti attuativi della stessa, è dato dal tempo che intercorre tra la volontà di un Governo e di un Parlamento di attuare determinate scelte e la capacità di rendere concrete ed operative le stesse. Qualche Centro Studi della Camera o della Banca d’Italia si è divertito a identificare i tempi medi: da un minimo di quattro mesi ad un massimo di anni o, addirittura, mai.

Sicuramente, quindi, almeno per questi tre punti lo Stato si impegnerà a produrre apposite azioni riformatrici sperando che l’Unione Europea continui a mantenere lo spirito di comprensione ormai consolidato. Rimane però un ultimo elemento critico: la esigenza di disporre in tempi certi e possibilmente brevi di una concreta quota delle risorse a fondo perduto; infatti, forse la pandemia ci ha distratto abbondantemente ma, fra quattro mesi, il Governo dovrà produrre un Documento di Economia e Finanza (Def) e dopo il Disegno di Legge di Stabilità. Ora se leggiamo attentamente l’articolo 265 del Decreto Legge “Rilancio” scopriamo che dei 55 miliardi annunciati, nel triennio 2020 – 2022, per il comparto infrastrutture e trasporti ci sono come “cassa” solo 4.818 milioni di euro, purtroppo non c’è il tanto dichiarato bazooka di risorse. Quindi se si tiene conto che quello che si avvia ora a livello comunitario è un negoziato in salita sarà difficile che si chiuda con il Consiglio dei Capi di Stato e di governo del 18-19 giugno e pur se la crisi richieda speditezza sarà quasi impossibile che i finanziamenti arrivino prima della primavera 2021.

Penso che se una volta tanto il Governo raccontasse queste difficoltà, prospettasse contestualmente le azioni concrete necessarie per superarle e riconoscesse, una volta per tutte, al fattore tempo il giusto valore, forse dimostrerebbe una coscienza di Stato che non riesco spesso a scoprire.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 04 giugno 2020 alle ore 16:32