#Albait. Il nuovo Patto di stabilità e il nostro salvagente

Questa volta tanti, tanti numeri. A Bruxelles è stato raggiunto il nuovo accordo sul Patto di stabilità. Norme più agevoli da rispettare per l’Italia. Il salvagente è assicurato e quindi si può rinunciare al Mes, il fondo salva Stati che potrebbe però essere una catena al collo italiano.

La prima volta che scrissi qualche riga sul lasciare debiti alle nuove generazioni, in cambio dei consumi delle vecchie, avevo ventun anni, era il 1987. Ero appena diventato segretario generale dei giovani della Uil. Con lo sguardo di un adolescente, con dati economici buoni, mettevo in guardia tutti sul furto di futuro ai danni miei e delle generazioni a venire. Risultato? Nessuno. Il sindacato doveva pensare alle retribuzioni dei quasi cinque milioni di lavoratori iscritti ai tre sindacati maggiori. L’ascesa degli iscritti pensionati ancora non era massiccia e gli iscritti al sindacato erano attivi. Il pentapartito produsse governi di spesa e le opposizioni lavoravano per ottenere più spesa. Situazione perfetta per aumentare il debito a carico dei giovani, dei quali facevo parte. L’attesa che qualcuno ponesse seriamente il problema fu lunga. Solo nel 1997 nasce l’Unione europea con il Trattato di Maastricht. In quella occasione si stipula il Patto di stabilità. Fu stabilito che il debito massimo di ogni Paese della Ue poteva essere al massimo il 60 per cento del Prodotto interno lordo. Lo scostamento annuale, o deficit, non poteva superare il 3 per cento. Se un Paese si fosse allontanato da quei parametri, la Commissione avrebbe “punito” il Paese colpevole, ma prima avrebbe lanciato un “early warning” o avvertimento preventivo. Meglio della nostra Agenzia delle Entrate che avverte dopo, in ogni caso. Se l’avvertimento non fosse bastato, la Ue avrebbe multato il Paese colpevole con una somma che poteva arrivare fino allo 0,5 per cento del Pil. Nel 1997 il debito pubblico italiano era al 116,8 per cento del Pil. L’Italia aveva il Pil a 1.242 miliardi di dollari e un debito pari a circa 1.420 miliardi.

Nel 2023, dopo venticinque anni di schiamazzi e urla alla luna contro le angherie di Bruxelles, l’Italia ha 3.143 miliardi di dollari di debito e 2.186 miliardi di Pil. Da ieri il nuovo Patto di stabilità prevede che se il deficit sforerà il 3 per cento annuo, l’Unione europea chiederà una correzione, per l’anno successivo, dello 0,5 per cento della spesa. Chi avrà un deficit del 5 per cento, dovrà scendere al 4,5 per cento l’anno successivo. Ma chi ha un debito superiore al 90 per cento, come l’Italia, oltre il doppio di quella soglia, dovrà portare la correzione all’1,5 per cento. Ma non in un anno, no. Lo Stato interessato potrà raggiungere questa correzione con una riduzione di spesa dello 0,4 per cento in quattro anni o dello 0,7 per cento in sette anni. Quindi, la correzione potrebbe essere ancora più bassa, consentendoci di arrivare al 4,6 per cento. Altra correzione: con le nuove regole, sempre chi ha un debito superiore al 90 per cento potrà correggere il deficit dello 0,4 per cento, ma a patto che il debito si riduca comunque dell’1 per cento l’anno. Manca uno 0,6 per cento all’appello. Temiamo di sapere chi dovrà pagare per coprire il disavanzo.

Nella speranza che sia chiaro, il risultato del marchingegno sarà che se il bilancio dello Stato dimagrirà dello 0,25 per cento reale, complessivamente, mentre il debito italiano dovrà scendere da 3.143 miliardi a 3.112 miliardi nel 2024. Però attenzione, c’è un’altra scappatoia: poiché un Paese più indebitato paga anche più per interessi sul debito, perché ha uno spread più alto, il rientro dell’1 per cento annuo gode di una flessibilità dello 0,3 per cento.

Già nel 2024, quindi, possiamo ragionevolmente ridurre il debito non di 31 miliardi, ma di circa 22 miliardi, pari a 3.121 miliardi, a valori costanti. Stavolta il conto è finale. Basta trucchi. Il debito che potremo avere il prossimo anno sarà di questi 3121 miliardi, con una riduzione di appena 22 miliardi, pari allo 0,7 per cento reale del Pil, su una spesa corrente di 873 miliardi. Il taglio dovrebbe essere quindi del 2,5 per cento del bilancio dello Stato. È mai stato ridotto il bilancio dello Stato? Sì, in qualche annualità è accaduto, salvo poi dilapidare il risultato nell’anno successivo, perché nasceva la retorica del “tesoretto”.

E infatti, se le misure draconiane del 1997 ci hanno portato a più che raddoppiare il debito pubblico, possiamo ragionevolmente supporre che tra altri quindici anni il nostro debito sarà di 6.900 miliardi, con un Pil pari a 2950 miliardi circa. Questo se riusciremo a ottenere una crescita media del 2 per cento annuo, cosa francamente difficile da sostenere con i numeri e le premesse normative attuali. Basti pensare che l’unico dibattito economico reale verte su come incassare più tasse dai bed and breakfast e come dare contributi alle imprese meno efficienti.

Insomma, oggi abbiamo la dimostrazione che nel 1987 sbagliavo. Desideravo lanciare un inutile allarme sull’impossibilità di lasciare a noi, giovani di allora, un debito enorme che ci avrebbe reso il futuro quasi impossibile. Rispetto a quel che accadrà nei prossimi quindici anni, secondo la più rigorosa delle spannometrie, il 1987 potrà essere classificato come un anno di serietà, ristrettezza, responsabilità.

C’è un secondo dato fondamentale: Tangentopoli come lavacro degli errori italiani, fu una buffonata. Il pentapartito e l’opposizione del 1987 furono sostituiti da partiti della spesa ben più prepotenti e indifferenti al futuro. Il problema è: i ragazzi, come fanno a protestare, considerato che dal 1987 ad oggi sono passati trentacinque anni e gli spazi democratici di dibattito e persino la cultura economica e politica si sono ridotti?

A dati costanti, con queste premesse il debito sale e il futuro si spegne. In pratica, si scivola felicemente verso il mare, al largo, con bracciate lunghe e poderose. Con la catena del debito a fare da salvagente.

A proposito: buon Natale.

Aggiornato il 21 dicembre 2023 alle ore 18:30