Dacca e la sociologia politicamente corretta

Dopo gli attentati del Bataclan a Parigi e all’aeroporto Zaventem a Bruxelles, i sociologi e i politologi hanno individuato le motivazioni dei terroristi soprattutto nello stato di emarginazione dei disperati delle banlieue parigine o nella condizione di ghettizzazione dei musulmani dei quartieri degradati di Bruxelles. Per Olivier Roy, professore presso l’Istituto universitario europeo di Fiesole, “la loro radicalizzazione avviene attorno a un immaginario fatto di eroi, di violenza e di morte, non alla sharia o a un’utopia”.

Le ragioni politiche ed ideologiche - mi ripugna definirle “religiose” - sono state per lo più ignorate, come se le invocazioni ad Allah e il riferimento ai “crociati” occidentali fossero farneticazioni prive di senso, un contorno blasfemo insignificante in un contesto di assoluta ignoranza ed incoscienza di chi le pronunciava.

Da parte di alcuni intellettuali c’è stata addirittura l’abominevole ostilità ad accomunare violenza e terrore all’Islam contemporaneo, come se i due fenomeni appartenessero a sfere distinte, separate, assolutamente non comunicanti. L’esasperazione per il politicamente corretto impedisce così di accedere a quello che è ormai un luogo comune: nel variegato mondo musulmano c’è chi cerca ad ogni costo lo scontro. Scontro di civiltà, non semplicemente scontro di religione, alimentato dal risentimento postcoloniale contro i cosiddetti “crociati”, come ha spiegato Samuel Huntington.

Infatti, nell’attentato a Dacca, lo stato di frustrazione esistenziale dei giovani bengalesi non spiega tutto. Gli attentatori hanno radici diverse, sono istruiti e benestanti. C’è anche il figlio di un membro del parlamento. Questa è la testimonianza, se ce n’era bisogno, che il fenomeno non è liquidabile con analisi puramente sociologiche, mentre, solo con la piena consapevolezza della cultura politica dell’islam radicale, il radicalismo potrà essere adeguatamente contrastato.

Prima di Huntington, Leone Caetani, duca di Sermoneta, in un saggio del 1912 spiegava già allora quale era, e quale è, la condizione che caratterizza l’Islam contemporaneo. Al di là di tutte le intrinseche ed insanabili violente scissioni interne che lo contraddistinguono, l’Islam si propone come simbolo dell’unità politica e morale degli Arabi e della loro presunta superiorità. Ovviamente, gran parte degli emigrati di religione musulmana che vivono in Occidente non si riconosce in questa dimensione politica della religione. Ma, nelle Terre dell’Islam, la condizione descritta da Caetani è ancora dominante.

Con l’invasione delle potenze coloniali che hanno esportato la propria cultura giuridica, i valori laici dell’Occidente erano entrati nei Paesi islamici. Con l’abbandono delle colonie, la fortuna del laicismo è tramontata e si è diffusa, a partire dagli anni Trenta e Cinquanta, con la confraternita dei Fratelli Musulmani, l’idea del ritorno all’Islam dei padri fondatori, liberato da ogni contaminazione d’importazione. I Fratelli Musulmani hanno la loro propria ragion d’essere, perché l’affermazione delle idee laiche e razionaliste aveva fatto correre il rischio oggettivo della morte morale dell’Oriente. Il mondo della globalizzazione dominato dall’individualismo, l’economia di mercato, il consumismo, la democrazia politica, la società dell’informazione, avrebbero disintegrato l’intera comunità islamica. Di fonte a questo rischio oggettivo, la riscoperta della religione (del sacro) è stata la risposta difensiva all’idea che il mondo potesse diventare una cosa sola, dominata dai nostri princìpi.

La rottura con l’Occidente non è sempre dettata da atteggiamenti di aperta ostilità, ma è comunque sorretta dalla diffusa convinzione che l’Occidente vive in una condizione di jāhiliyya (status dominato da tenebre ed ignoranza), di fronte alla quale la religione musulmana rappresenta il punto di partenza, di una strategia più vasta, che punta alla riconquista dell’identità. Ecco perché rinasce l’Islam radicale, quello delle origini, perché la radicalità è la condizione primaria per la sua riconoscibilità.

D’altra parte, anche nel mondo musulmano è aperto il dibattito sull’Occidente, considerato un’aporia della storia, incapace di risolvere i problemi esistenziali del vivere umano. Tra gli stessi intellettuali dell’area moderata serpeggia la sensazione che la pretesa esportazione dei diritti umani, nei confronti del mondo musulmano, possa avere la funzione di nascondere la coercizione morale verso nuove ingerenze di tipo coloniale. Se non è questo scontro di civiltà, è molto simile, ed è molto difficile definirlo diversamente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00