Lusi e quei rimborsi che avevamo abrogato

Le motivazioni politico-giuridiche del caso Lusi affondano le radici in epoche oramai remote.  Le note vicende del tesoriere della Margherita - indagato dalla Procura di Roma per appropriazione indebita di circa 13 milioni di euro nei confronti del Partito - ha riportato alla ribalta l'annoso tema dei soldi (pubblici, ça va sans dire) che ad ogni tornata elettorale vengono destinati alle forze politiche a mo' di rimborso. 

Con il referendum che proponeva l'abrogazione della disciplina del finanziamento pubblico ai partiti nell'aprile del '93, la stragrande maggioranza degli italiani (il 90% dei votanti) si pronunciò a favore dei quesiti allora promossi da Radicali Italiani. Nonostante l'intervenuta abrogazione, il Parlamento riscrisse la disciplina oggetto della tornata referendaria semplicemente sostituendo il "finanziamento pubblico ai partiti" con i "rimborsi elettorali" (anche detti "contributi per le spese elettorali"). Un ritorno in piena regola allo status quo, stante il principio secondo cui il referendum, nel nostro impianto costituzionale, abroga le norme oggetto dei quesiti non vincolando sotto l'aspetto giuridico il legislatore futuro. 

Non pago, negli anni successivi,  il legislatore è riuscito nell'impresa di ampliare le maglie dell'erogazione dei già generosi rimborsi: non corrispondenza tra i contributi erogati e le spese realmente effettuate,  modifica del rimborso per elettore con il passaggio all'euro (da 4.000 Lire a 4 Euro), abbassamento del quorum per ottenerli (dal 4% al 1%), ed infine - con la legge n. 51 del 2006 - attribuzione ai partiti dei contributi per tutti e cinque gli anni della legislatura indipendentemente dalla sua durata effettiva. 

In base a quest'ultimo principio, il senatore Luigi Lusi e tutti gli altri tesorieri dei partiti che si sono presentati alle elezioni politiche dell'aprile 2006, si sono trovati a gestire i rimborsi elettorali di un'intera  legislatura (2006-2011) terminata prematuramente a causa della sfiducia subita dal governo Prodi in Senato nel gennaio 2008 e a seguito del contestuale scioglimento delle camere ad opera del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. 

Non è tutto. Dall'ottobre del 2007 in avanti, l'ormai ex tesoriere della Margherita ha amministrato il patrimonio di un partito politicamente non più esistente, stante lo scioglimento della formazione guidata da Francesco Rutelli e la nascita del Partito democratico.  Ma non solo Lusi, evidentemente. Basti pensare a Forza Italia e Alleanza Nazionale, confluiti nel Popolo della Libertà nel marzo del 2009, o ai Democratici di sinistra , soci fondatori del Pd insieme alla Margherita. Partiti non più rintracciabili nella scheda elettorale ma destinatari comunque di notevoli contributi pubblici per le spese elettorali sostenute. 

Il resto è storia dei nostri giorni. Indipendentemente dai risvolti giudiziari della vicenda, e fermo restando l'applicazione del sacro ed inviolabile principio della presunzione di non colpevolezza nei confronti di chiunque sia indagato, il caso Lusi rivela evidenti le storture di un impianto normativo ai limiti della decenza. Un vero e proprio scandalo a cui prima o poi si dovrà porre fine. 

In parlamento, tra i tanti disegni di legge volti a modificare la disciplina dei rimborsi elettorali, occorre ricordare il progetto di legge del deputato Radicale Maurizio Turco, teso a creare una sezione ad hoc della Corte dei Conti in grado di verificare le spese e i rendiconti dei partiti, di sospendere l'erogazione nel momento in cui si dovessero registrare delle irregolarità e di irrogare, sempre in caso di irregolarità contabili, una sanzione pecuniaria amministrativa (da 10 a 100.000 euro). 

L'idea sottesa al ddl Turco rappresenterebbe un notevole passo in avanti. Infatti, creerebbe le condizioni affinché un organo terzo - la Corte dei Conti - possa vigilare realmente sui movimenti contabili dei partiti. Ma almeno per ora, il progetto Turco (come gli altri del resto), giace nei cassetti della Camera, a dimostrazione di un processo di riforma fermo ancora alla sua fase embrionale.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:54