Bersani, occasione persa per il Pd?

E se, a sinistra, si fosse persa un’enorme occasione? Sessantuno a trentanove. Sono le 20.01 di domenica 2 dicembre e Pier Luigi Bersani vince le primarie del centrosinistra. Sarà il candidato premier dei “progressisti” alle elezioni politiche del prossimo anno, grazie all’incoronazione delle primarie. Primarie, dopo anni di risultati già noti prima del voto, più che mai incerte e vere. Ovvio, il motivo: uno sfidante (Matteo Renzi, ndr) al 40%, dal 2005 di Prodi in avanti, non s’era mai visto. Un 40%, però, volto ad assumere le sembianze di un’enorme occasione persa. Roberto D’Alimonte, politologo ed editorialista de Il Sole24Ore, ha più volte tenuto a ribadire quanto, un centrosinistra a trazione “liberal-renziana”, potesse essere in grado di raccogliere il consenso del 44% dell’elettorato. Una coalizione imperniata sulla figura Pier Luigi Bersani, invece, si fermerebbe (e si fermerà?, ndr) al 35% e nella palude più volte evocata dallo stesso Bersani. «Vogliamo sentire profumo di sinistra», ha detto Nichi Vendola dopo il magro risultato del primo turno (15% dei suffragi e circa 400mila voti, ndr). E profumo di sinistra è stato. Endorsement a sfavore di Renzi prima, pro Bersani poi: «Bravo socialdemocratico europeo, è stato un ministro molto attento, molto competente e molto operativo. È un leader politico che ha una qualità rara sulla scena pubblica; è un uomo di grande umanità, non è un cinico», le sue parole a sostegno inequivocabile. Comunione d’intenti, tra i due, e manifestazione in comune, giovedì della scorsa settimana al Teatro Politeama di Napoli assieme ai massimi vertici campani di Pd e Sel. 

Decisiva per la vittoria finale del segretario piddino, tuttavia, non tanto il sostegno di Nichi Vendola, quanto la difficoltà del sindaco di Firenze di mobilitare una seconda volta un elettorato più che mai eterogeneo, nonché il timore di una buona fetta dell’elettorato classico di centrosinistra rispetto alle ambizioni di Renzi. Ciò ha prodotto un risultato affatto sperato dai più: la golden share della coalizione in mano vendoliana. Una sorta di nemesi dell’Unione di prodiana memoria. Cattivo presagio per l’elettore medio democratico, già pronto a scommettere sulla caduta del futuro – e auspicabile, le elezioni si debbono ancora tenere – esecutivo di centrosinistra. A pochissimi anni, se non mesi, dal suo insediamento. Perché, ça va sans dire, un “casus belli” si trova sempre. Vendola non è forza di governo responsabile e affidabile. Un esempio: ieri, a Lione, il bilaterale italo-francese tra Mario Monti e François Hollande sui destini della Tav Torino-Lione. Un summit propedeutico alla firma di una dichiarazione congiunta tra i due di conferma dell’impegno per la realizzazione dell’opera. Lapidario, il commento di Vendola via Twitter: «Critico scelta di non mettere in discussione la Tav. È una scelta sbagliata del governo Monti tanto più discutibile di fronte a crisi». Emblematico, l’hasthag: #notav. Insomma, si può governare con chi – legittimamente, ci mancherebbe – si pone su posizioni politiche simili? La risposta, evidentemente, è in re ipsa. E forse, con la sua scelta di premiare Pier Luigi Bersani, l’elettore democratico ha perduto un’immensa occasione. L’ennesima. 

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:36