Rilanciare l’ingegneria, la ricetta dell’Oice

L’Oice rappresenta in seno a Confindustria le organizzazioni italiane di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica. L’ingegner Patrizia Lotti presiede da poco tempo l’Oice, ma conosce molto bene la realtà in cui opera. Così l’intervista servirà per far conoscere al lettore gli aspetti meno noti di progettazione, leggi e tempistiche varie che accompagnano il progetto di grandi opere pubbliche come di normali abitazioni: argomenti tanto di moda in periodi come quello che stiamo vivendo, caratterizzato da contrasti sulle grandi opere come da polemiche sul rinnovo del patrimonio edilizio urbano.

Presidente, cos’è e perché nasce l’Oice?

L’Oice è dal 1965 che opera come associazione delle società di ingegneria, civile e impiantistica, e ad oggi raggruppa più di 450 associati con 19.300 addetti. La nascita dell’associazione fu dettata da motivazioni che, a distanza di tanti anni, possono ancora ritenersi molto valide: far conoscere l’esperienza dell’ingegneria organizzata all’estero e aprire spazi per l’internazionalizzazione delle nostre imprese. Fra gli anni ’60 e oggi c’è stato un grande sviluppo all’estero e poi il lungo e faticoso iter per il riconoscimento giuridico delle società di ingegneria, ottenuto dopo anni di battaglie, anche giudiziarie, con la legge Merloni del ’94, che ha portato il nostro settore da vent’anni ad avere una normativa articolata e dettagliata in materia di prestazione di servizi di ingegneria in forma organizzata.

In un recente comunicato lei ha dichiarato che “una progettazione preliminare insufficiente non solo non garantisce la qualità del costruito, ma fa anche aumentare i costi”. Nel dettaglio, cosa significa?

Piccola premessa. Qualsiasi progetto, sia esso pubblico o privato, presuppone di definire a monte gli scopi dello stesso o meglio l’individuazione delle necessità a cui deve rispondere. È in questa fase che si deve specificare esattamente ciò che si vuole realizzare, dopo aver ascoltato, accolto ed ottimizzato le richieste di tutti gli enti e le persone interessate al progetto. E non basta la definizione tecnica di ciò che si vuole costruire, ma occorre preventivare i costi, verificare i benefici ottenibili, fissare i tempi in cui il progetto deve dare il suo ritorno socio-economico e poi sviluppare il progetto stesso rispettando in modo ferreo le premesse. Se accettiamo questa filosofia e, a mio avviso, lo dobbiamo fare perché vediamo i guasti del nostro attuale modo di procedere e d’altra parte così si fa nella maggior parte dei Paesi sviluppati ed anche in quelli di nuova industrializzazione, occorre tornare a rendere centrale il progetto, considerando l’ingegneria il punto imprescindibile per avere opere di buona qualità, realizzate nei tempi e con i costi previsti senza varianti e riserve; significa quindi recuperare uno dei principi di fondo della prima legge Merloni: si va in appalto con il progetto esecutivo, tranne rari e motivati casi. Il progetto deve essere accurato e di qualità, realizzato prima di eseguire i lavori e non “aggiustato in corsa”. Inoltre, chi si candida a progettare un’opera deve sempre dimostrare di avere le qualifiche necessarie, anche se si tratta di un ente interno all’Amministrazione. Soltanto così potremo ottenere buoni progetti anche dalle stazioni appaltanti. I capitolati devono essere omogenei, possibilmente unificati da modelli-tipo, e le Amministrazioni non devono avere la facoltà di non applicarli. Dobbiamo pretendere che si faccia un’accurata supervisione delle opere e che questa sia appaltata dal cliente finale a chi dispone di supervisori qualificati in numero adeguato. È inimmaginabile, poi, che l’affidatario dei lavori controlli se stesso, come in alcune esperienze accade, svolgendo direttamente la direzione dei lavori.

La sua Associazione ha messo a punto una serie di proposte inviate alle forze politiche: costituiranno la base delle azioni che l’Oice proporrà al Governo?

Il dato caratterizzante delle nostre proposte, sulle quali peraltro stiamo raccogliendo anche l’appoggio del Consiglio nazionale degli ingegneri, è la centralità del progetto, del progettista e dell’opera in tutto il suo svolgimento. Si tratta di un grande messaggio culturale che le nostre istituzioni devono accogliere e, sotto il nostro impulso, trasferire in norme che consentano di riportare l’ingegneria a quel ruolo che le compete e che già le è riconosciuto in molti altri Paesi europei. Diversi gli strumenti tecnici con cui assicurare il raggiungimento degli obiettivi: riduzione dell’in-house engineering, limitazione dell’appalto integrato, tutele per i progettisti nei rapporti contrattuali con le imprese e con le stazioni appaltanti, revisione dell’incentivazione dei tecnici delle Amministrazioni. Poi altre proposte fondamentali sono per la crescita e la penetrazione all’estero; su quest’ultimo punto non esiste una ricetta uguale per tutti. Certamente da parte del Governo occorre attivare strumenti di effettivo supporto per le imprese che vogliono intraprendere “avventure” oltre confine, pari a quelle a disposizione dei concorrenti europei. Allo stesso tempo bisogna evitare che, prima ancora di andare all’estero, le nostre imprese siano penalizzate da norme assurde come quella che impone di pagare il contributo del 4% a Inarcassa anche sul fatturato estero, rendendo immediatamente non competitive le nostre aziende. Per quel che ci compete, poi, l’Oice promuove il dibattito interno tra i propri associati in appositi incontri dove la narrazione dell’esperienza, molto diversificata, di quelle società piccole o di maggiori dimensioni, che già lavorano con successo all’estero, può essere di aiuto a chi vuole cimentarsi su nuovi mercati.

Lei rappresenta un settore di straordinaria importanza per riaccendere il motore economico di questo Paese. A questo proposito leggo che il 2012 è stato l’anno peggiore dal 1999 per il mercato dei servizi di ingegneria e architettura. Quali sono ora le prospettive future per il vostro comparto?

Il ciclo economico negativo investe fortemente i nostri associati: le gare d’ingegneria, viste nel loro complesso, sono limitate in numero di dimensione, e vengono aggiudicate con sconti medi intorno al 40% e con punte anche del 70%. I committenti pubblici non pagano o pagano con ritardi inaccettabili. Molte società si ridimensionano, altre chiudono e a ritmi sempre più frequenti. Solo chi lavora all’estero, seppure tra tante difficoltà, riesce a mantenere la propria struttura organizzativa. L’Italia della progettazione corre un grandissimo rischio, perché il know-how ingegneristico è intimamente legato alle persone, agli ingegneri, ai tecnici. Se questi saranno costretti ad abbandonare la professione, il loro sapere si perderà e non si trasferirà ai giovani. Le prospettive non sono buone, ma è certo che soltanto chi è sul mercato internazionale può attutire gli effetti negativi. Magari con riduzioni di fatturato, ma con un’organizzazione efficiente si possono ancora avere utili che in Italia sarebbero difficili da realizzare. L’ingegneria può dare un grande contributo alle esportazioni del nostro Paese. L’ingegneria è sempre associata al costruire, sia essa riferita ad una opera infrastrutturale o ad un impianto. Quindi una buona ingegneria ha un effetto di trascinamento anche di dieci volte superiore rispetto al valore della pura prestazione di servizi, senza contare che un buon progetto od una bella opera architettonica valorizza il “made in Italy” in senso molto allargato e più duraturo, anche più del made in Italy della moda. Noi abbiamo urgenza di lavorare per lo sviluppo. L’esportazione può essere incrementata in tempi rapidi rimettendo in moto la macchina dei consumi e portando immediatamente risorse nel nostro Paese.

Nel nuovo ordine mondiale globalizzato qualità e innovazione sono concetti essenziali, come si coniugano in un settore come il vostro?

Ingegneria e architettura sono tante cose insieme: capacità di progettare, conoscenze, inventiva, amore del bello e della qualità. Ma anche organizzazione, project management, che insieme concorrono a darci, nei tempi stabiliti e con i costi preventivati, opere, edifici, infrastrutture ed impianti in linea con i migliori standard del mercato e con le esigenze dei nostri clienti. Per reggere il passo della concorrenza globale occorre sempre investire e innovare, sia in mezzi sia, soprattutto nelle risorse umane. Da sempre le nostre punte di eccellenza vengono da realtà che mostrano una grande sensibilità nella formazione professionale e dell’aggiornamento dei propri tecnici. Occorre bilanciare accuratamente investimenti in innovazione e qualità professionale delle risorse umane, per potere rispondere con qualità ed efficienza alle sfide di un mercato fortemente competitivo.

Recentemente ha dichiarato che “le gare d’ingegneria e architettura per il mercato pubblico sono un terribile termometro di come l’Italia sta affrontando questa crisi. La temperatura sta scendendo a zero. Non solo non si realizzano opere pubbliche ed infrastrutture, ma neanche si pensa a progettarle”. Dati non confortarti. Quale futuro per i giovani ingegneri e architetti?

Il futuro viaggia, anche per i giovani professionisti, su due strade: da un lato occorre investire su se stessi, aumentando il livello di preparazione professionale e tecnica, dall’altro occorre che siano realizzate condizioni per un rilancio dell’economia globale, per la crescita. Che ciò debba passare anche per una rinegoziazione dei vincoli europei può essere, ma non v’è dubbio che occorra trovare risorse anche svecchiando la macchina amministrativa, terziarizzando funzioni come la progettazione che è anacronistico e antieconomico ritenere come priorità dell’azione amministrativa. Trovare risorse per programmi di investimento in opere e infrastrutture, rendere più efficiente la macchina amministrativa, creare più mercato terziarizzando le attività tecnico-professionali e chiudendo le gestioni in house: solo così si potranno creare le basi per consentire ai giovani professionisti e alle nuove organizzazioni imprenditoriali di entrare sul mercato dell’ingegneria e dell’architettura. A questo punto mi conceda di spezzare una lancia a favore delle nostre Università e dei nostri Politecnici, che sono di grande qualità. Se l’Italia è un Paese molto forte e molto rispettato nel mondo per la validità della sua ingegneria lo dobbiamo proprio ai nostri istituti universitari, che ci mettono a disposizione ingegneri molto preparati. Io non sono d’accordo con chi tende a scoraggiare i giovani, affermando che l’università non garantisce un lavoro. L’università e l’ingegneria in particolare sono tra gli strumenti che hanno i giovani per costruire il proprio futuro. Certo, studiare ingegneria è faticoso ed impegnativo, ma dobbiamo dire ai giovani che è una professione che permetterà loro di realizzare un progetto di vita.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:25