Uguaglianza e Libertà

Il premier Matteo Renzi doveva arrivare in Giappone per accorgersi che il problema del XXI secolo è l’equilibrata coniugazione dell’Uguaglianza con la Libertà.

È stata una sorpresa perché la centralità del problema ha addolorato tutto il XX secolo a causa della decisione di declinare le due condizioni come fossero omogenee. Un errore interpretativo di quel grande bluff che è stato il 1968. L’antiteticità tra Uguaglianza e Libertà nasce dall’assunzione di ambedue a monadi ideologiche degli opposti esiti dei movimenti rivoluzionari: quelli che una certa storiografia ha dichiarato eventi/archetipo di un unico periodo. Una scelta necessitata ma portata alle estreme conseguenze.

La società moderna procede su una fune sospesa a svariate decine di metri da terra e se comincia a sbilanciarsi deve correggere la posizione per evitare di sfracellarsi a terra. Per mantenere l’equilibrio i funamboli tengono tra le mani aste lunghe fino a dieci metri con due pesi alle estremità. La società fa uguale. Le norme che esprimono i valori rispettati dagli individui costituiscono il bilanciere che la società impugna mentre cammina sul filo della convivenza pacifica sopra il burrone dell’anarchia. Agli estremi del bilanciere stanno Uguaglianza e Libertà, ma poiché il loro peso specifico è diverso le rispettive masse devono essere diverse affinché sulle estremità insista lo stesso peso.

La Libertà è implicito della capacità di pensare dell’Uomo; l’Uguaglianza è una condizione di stato accertabile attraverso il confronto con gli altri. La Libertà, come espressione del pensare, fonda la scelta; l’Uguaglianza, come espressione del giudicare, è determinata dalla scelta e postula la differenza tra bene e male ossia il giudizio di valore dunque la Libertà. La Libertà è un assoluto che ha per riferimento se stessi dunque è una determinazione dell’essere; l’Uguaglianza è un relativo che ha per riferimento gli altri (meglio la misura di se stessi rispetto agli altri e viceversa) dunque è una determinazione della volontà. L’Uguaglianza a differenza della Libertà non è condizione naturale dell’Uomo, bensì scelta culturale della società. E laddove la Povertà è archetipo di Disuguaglianza, essa è sempre da rimuovere in quanto limite della libertà individuale. Così la pensa Amartya Sen che certamente non è un reazionario (La libertà individuale come impegno sociale, Laterza, Bari 2007, pag. 23 e seguenti). Il più autorevole nemico di questa tesi rimane J. J. Rousseau perché la “giustizia equa” e il “principio di differenza” di John Rawls si limitano a modernizzarne l’idea base (quella secondo cui gli uomini nascono uguali ma lo rimangono solo finché vivono in solitudine).

Riflette Rousseau: una volta iniziato a vivere insieme gli uomini finiscono preda del confronto (donde l’invidia), quindi della spinta emulativa (positiva) o antagonista (negativa) per superarsi. L’impossibilità di tenere a bada le passioni suscitate dal confronto produce però l’esigenza di un’autorità superiore che fissi le regole. Ma questa autorità, lo Stato, garantisce la lealtà di tutti solo indirettamente, perché principalmente esalta e moltiplica le disuguaglianze. Per la sua tesi Rousseau (come Rawls anni dopo) paga il prezzo di rifiutare ciò che ha fatto dell’Uomo quello che è diventato: deve cioè rifiutare che le invenzioni dell’Uomo costituiscono frutto buono della “unicità umana”. Ma è una scelta che si autoimpone per la volontà di rendere il talento un vantaggio per il quale il possessore deve pagare dazio. Eppure nel suo schema c’è una falla.

Per sostenere il ragionamento Rousseau è difatti costretto a convenire che la convivenza aumenta disuguaglianze (fisiche e spirituali) che la Natura stessa ha distribuito fra gli uomini senza ordine né giustificazione. Il che significa che quando si parla di Uguaglianza (quantomeno in senso moderno) tutti sono costretti a riconoscerne la in-naturalità. Nel senso: tutti gli uomini nascono in quanto esseri viventi ma non nascono uguali in quanto Individui. Per cui il detto “tutti gli uomini nascono uguali” non segue alla constatazione di uno stato di fatto bensì all’empatia gen-etica (biologica e culturale) dell’Uomo e alla sua inclinazione alla compassione ed alla solidarietà.

Quanto alle Istituzioni, senza dubbio lievitano le disuguaglianze naturali ma solo perché ancora non riescono a imporre vincoli di uguaglianza senza svilire il talento individuale. Una difficoltà antica quanto l’Uomo. “Io vorrei esserti amico – disse il Vicino – ma mio padre non vuole. E il giorno dopo a scuola cambiò banco. Io urlai: e allora l’uguaglianza? Il Vicino rispose: a noi non piace l’egualitarismo”. Nessuno meglio di Aleksandr Zinov’ev (Cime abissali II, Adelphi, Milano 1978, pag. 26) ha saputo rappresentare la differenza. Lo Stato moderno non si risparmia per liberare l’Uomo dalle necessità quotidiane. Se poi derivano da disuguaglianza le classifica ingiustificate risarcendole con corrispondenti diritti sociali. Questo protocollo è frutto della scelta ideologica che ha trasformato il diritto di chiunque ad affermarsi nel rispetto degli altri nel dovere collettivo di lasciar affermare tutti paritariamente sempre e comunque. L’Egualitarismo è la miscela di equità e cinismo con cui la società italiana del dopoguerra ha preteso di soddisfare le richieste di libertà e giustizia degli strati meno abbienti. Nell’Egualitarismo l’Equità è perseguita con rigore islamico mentre il Realismo è perorato con tolleranza cristiana. Il secondo è così svilito a pretesto per risarcire il più debole senza alcuna attenzione per costi e ripercussioni sociali. E per l’uguaglianza sostanziale. In questo modo l’Egualitarismo, in quanto eguaglianza coatta, ha finito per negare la Libertà; mortificare il talento; ostacolare la cooperazione; favorire l’ignavia. L’Egualitarismo confonde i concetti di “essere umano” ed “individuo” perché standardizza gli uomini. Inoltre mancando di rispetto per il talento obbliga l’uguaglianza a trasformarsi da diritto a pari opportunità e al confronto basato sul merito in livellamento in basso delle condizioni di tutti. In questo modo ha spento l’ambizione (che è il motore del Progresso) e soffocato l’invidia positiva (che di quel motore è il propellente).

Gli apologeti della Rivoluzione Russa riuscirono ad accreditare l’eguaglianza coatta quale epilogo della Rivoluzione Francese del 1789, ma il successo costrinse il Socialismo entro una rigidità che soffocò ogni libertà. Lo sviluppo industriale dell’Urss fornì giustificazione all’anima violenta del socialismo. Insieme alla Libertà anche la tolleranza fu difatti espulsa dalla società socialista ed entrambe furono rese subalterne, quando non alternative, al suo tipo di eguaglianza. Ma per quadrare il rapporto fra Libertà e Uguaglianza, l’Uomo si ingegna da quando le Erinni divennero Eumenidi, così tutt’ora insegue una Libertà che consenta maggiore uguaglianza sostanziale di tutti senza costi per la libertà individuale di alcuni.

Nemmeno il delirio di rimuovere le disuguaglianze enucleando libertà collettive corrispondenti ha difatti funzionato, in quanto quelle libertà non riescono a prescindere da altrettanti doveri collettivi che minano la libertà individuale di uomini che non partecipano ai vantaggi che assicurano. Il fatto è che l’Uguaglianza va coltivata come tendenziale e il sacrificio dei più liberi va preteso per la maggior libertà dei meno liberi a condizione che cresca la libertà generale della Società. Ammetto che è una posizione riduzionista ma, allo stato, è la meno pelosa.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:06