Due no annunciati

Due no annunciati quelli di Virginia Raggi la quale, più o meno direttamente, li ha dichiarati espressi a nome dei romani. Per quel 70 per cento di consensi attribuitile al ballottaggio. Come darle torto?

Eppure più che due no, in rispetto degli impegni elettorali, sembrano no al presidente del Coni (che tanto aveva lavorato) e al Presidente del Consiglio (primo sponsor dei giochi a Roma nel 2024). Perché quella velata minaccia di dimettersi da sindaco subito dopo aver formalizzato la candidatura di Roma ai Giochi, se non fosse stata difesa nella bagarre seguita alle defezioni di alcuni assessori della sua Giunta, non può passare come la sintesi giornalistica di un attacco di isteria politica. Così come non possono passare sottotono le simpatie dichiarate di qualche assessore della giunta Raggi per la candidatura di Roma. Del tutto inatteso invece il modo con cui sono giunti i no.

Il ritardo alla conferenza stampa del sindaco sarebbe stato ingiustificabile anche se accumulato da un principe universitario per una lezione a studenti del primo anno. È stato un ritardo unpolite più ancora che unfair. In politica la forma è sostanza e da tempo i protagonisti del M5S hanno dimostrato di saperci fare con le liturgie in voga nella Prima Repubblica. Non è proprio un buon auspicio per la Terza, che vorrebbero essere loro a fondare e dirigere. I critici del presidente del Coni avranno ora buon gioco a girare il coltello nella ferita, censurando la sua fuga in avanti e la scelta di un comitato organizzatore nominato più seguendo pancia e cuore che testa e fiuto. Mentre i critici del Presidente del Consiglio si rallegreranno per la debàcle rimarcandone la tendenza a squagliarsi quando il gioco si fa duro. Non mi sento di condividere le critiche.

Accusare Giovanni Malagò di essere un presidente di campanello più intento ad annunciare e organizzare che incidere le strutture attempate del Coni per rifondare e riorganizzare lo sport italiano, è infondato. Il Coni è il vertice di un ordinamento settoriale che governa una funzione dello Stato: lo sport, così come la Banca d’Italia governa quelli monetario e del credito. Malagò ha ottenuto la presidenza da outsider contro il candidato dell’apparato ed è stato una ventata d’aria fresca. Magari il suo primo mandato non avrà brillato e qualche incertezza può essere stata colta in alcune scelte delle strutture consociate/partecipate ma cambiamenti ce ne sono stati. Qualcuno potrà anche dire che sono stati timidi rispetto alle attese ma sono certamente consistenti se si pensa alla natura pubblica del Coni, tanto simile ai nostri Ministeri.

Per queste ragioni il no alle Olimpiadi di Roma non pesa sul Coni e il suo presidente. Il problema è che le Olimpiadi avrebbero agevolato alcune riforme e regalato alla città impianti nuovi anche per sport minori di cui ora rischia di continuare a mancare. Da questo punto di vista la sfida del Coni e del suo presidente non cambia. Quelle strutture (come gli stadi delle due squadre romane di calcio in serie A) contribuiranno in modo decisivo a fare di Roma città la capitale che ancora non è. Aumentando ogni sua chance.

Più fondati i dubbi sulla mancanza di peso politico e amministrativo del Presidente del Consiglio su decisioni locali che coinvolgono interessi nazionali quando il bastone è in mano all’opposizione non tradizionale. Difficile credere che Roberto Maroni o Giovanni Toti avrebbero deciso come la Raggi se al suo posto. In questo senso lo sport italiano ha pagato il prezzo di un confronto politico che il M5S tende a radicalizzare in vista della madre e del padre di tutte le battaglie: il referendum istituzionale, e a seguire le elezioni, che probabilmente Grillo & Co intendono chiedere in caso di successo del no a costo di accusare le Istituzioni di violare il dovere di corrispondenza fra volontà popolare e Parlamento. C’è da giurare che, nel caso, a farne le spese sarà l’assenza di vincolo di mandato dei parlamentari. Un principio che da sempre il M5S cerca di aggirare chiedendo il voto di preferenza nella legge elettorale e paventando l’obbligo degli eletti di attenersi pedissequamente al programma elettorale. Non per nulla i contenuti del loro programma sono recitati come mantra cui si pretende ottemperanza. Come il no alle Olimpiadi di Roma nel 2024. L’alibi perfetto da invocare al momento giusto contro tutto e tutti.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:21