‘Ndrangheta in Val d’Aosta: 16 arrestati

I carabinieri del Ros e del Gruppo di Aosta hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip di Torino su richiesta della Dda, per 16 persone. Tra questi, il boss della ‘Ndrangheta Bruno Nirta, rampollo della cosca di San Luca (Reggio Calabria) Nirta-Scalzone. Gli indagati, a vario titolo, sono ritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, tentato scambio elettorale politico-mafioso, estorsione tentata e consumata, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione e ricettazione di armi e favoreggiamento personale, in alcuni casi aggravati dal metodo mafioso.

L’operazione intitolata “Geenna”, al termine di accertamenti delicatissimi, ha dimostrato come la “’Ndrangheta era attiva con una propria stabile struttura ad Aosta, infiltrando pesantemente il tessuto economico, sociale, politico della regione”. È dal 2014 che la procura di Torino indaga per dimostrare la presenza della ‘Ndrangheta sul territorio finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti tra Spagna e Italia.

Secondo gli inquirenti a capo della cellula criminale (“locale”) di Aosta, c’era Marco Di Donato in qualità di capo e Bruno Nirta e Antonio Raso erano i promotori e gli organizzatori. Con la collaborazione di politici locali: sono infatti finiti in manette anche Monica Carcea, assessore comunale di Saint-Pierre (Aosta), Nicola Prettico, consigliere comunale di Aosta, e il consigliere regionale Marco Sorbara.  La presidente del Consiglio regionale Emily Rini ha dichiarato: “Vista la gravità dei fatti di cui siamo venuti a conoscenza la conferenza dei capigruppo ha deciso di sospendere i lavori al fine di consentire di avere ulteriori informazioni in merito”. 

I vantaggi economici sono alla base del movimento verso nord delle organizzazioni criminali, come si intuisce facilmente da un’intercettazione sul caso: “non possiamo lasciare tutti ‘sti soldi a 4 valdostani”.

Questo dato di fatto, però, continua a non essere evidente per gran parte dell’opinione pubblica. Un sondaggio di fine novembre 2018 lanciato da Don Luigi Ciotti, edito dal Gruppo Abele e curato da Francesca Rispoli con la prefazione di Nando dalla Chiesa, e distribuito a 10mila persone da Nord a Sud ha dimostrato dati estremamente inquietanti. Come dichiarato dallo stesso Don Ciotti la finalità del sondaggio era “ mettere a fuoco temi centrali: la sottovalutazione della pericolosità mafiosa, l’equazione ormai fuorviante tra mafia e fatti di sangue, la sopravvivenza, entro certi contesti e limiti, del pregiudizio delle mafie come fenomeno tipico del Sud”.

I risultati del dossier sono definiti “spaventosi” del presidente dell’Anac Raffaele Cantone.

A colpirlo di più è il fatto che “solo il 20% dei cittadini creda che sia importante votare cittadini onesti come candidati politici” per combattere la corruzione.

Sconcertanti, in particolare, alcune tabelle: il 7,8 per cento degli intervistati pensa che “la mafia è oggi solo letteratura” ; un altro 29,1 sostiene che nel suo territorio sia “un fenomeno marginale”.

Insomma, riassume il dossier, “c’è ancora difficoltà ad assumere le mafie come questione nazionale. Questa resistenza risulta preoccupante perché proviene dalle regioni che determinano l’andamento dell’economia nazionale. Ciò dovrebbe indurre a riflettere su un aspetto più generale che ha favorito il radicamento della criminalità mafiosa nel Nord: dal punto di vista economico le mafie non esistono, o meglio per inesperienza o ancora peggio per convenienza sono accettate come operatori del mercato soprattutto in contesti in cui possono movimentare flussi finanziari e garantire controllo della manodopera a prezzi competitivi. L’assenza di violenza omicida ha consentito alle mafie, perciò, di nascondersi dietro la circolazione del denaro”.

Aggiornato il 23 gennaio 2019 alle ore 15:31