A pochi giorni dal voto

Chissà perché in Italia chiunque parli di riforme strutturali è un sovversivo, che spregia la Costituzione e i suoi valori fondanti. Mai questo Chiunque è un riformista, magari moderato; quasi che estrema destra ed estrema sinistra partecipino di una categoria diversa da quell’area di sovversivi e populisti che questi Chiunque rappresentano.

Silvio Berlusconi prima e Matteo Renzi poi hanno ricevuto la stessa accusa quando hanno rispettivamente proposto governo del Premier e modifica della prima parte della Costituzione. A turno non si sono salvati neppure 5 Stelle e Lega, colpevoli di un posizionamento critico nei confronti dell’Unione europea degli uomini Erasmo.

Il niet a Paolo Savona ministro dell’Economia, a suo tempo posto dal Quirinale, fu l’antipasto di un menù che, rifiutato, avrebbe impedito la nascita del governo. Di Maio non poteva permetterselo e chinò la testa, mollando l’alleato. Quel “sissignore” ha dato il tono al Governo e ne paghiamo ancora le conseguenze. Il Presidente della Repubblica eccedette dalle sue prerogative (a leggere Costantino Mortati) e si sarebbe ripetuto se, all’indomani della Diciotti, non fosse intervenuta la Chiesa cattolica.

Ormai è chiaro che, data la posizione di Malta, l’accoglienza dei migranti raccolti da navi Ong innesca ogni volta uno scontro cui il ministro dell’Interno non si sottrae. Anche se a rimbrottarlo è il Papa. L’ascesa nei sondaggi della Lega gli davano ragione e Luigi Di Maio ha fatto buon viso a cattiva sorte. Sulla legittima difesa ha però accennato l’opposizione, ma capì subito che gli sarebbe andata buca e si è concentratoi su altro. In attesa del colpo di fortuna, che è arrivato puntuale per via giudiziaria, insieme alla strizzatina d’occhio del Partito Democratico.

Due iniziative giudiziarie hanno consentito a Di Maio di mettere Salvini all’angolo. Prima ha cacciato, per indegnità, il sottosegretario Armando Siri dal Governo e poi ha parlato di nuova tangentopoli, cercando di imporre la priorità della corruzione sull’immigrazione. La scusa è stato l’arresto del sindaco forzista di Legnano, città simbolo della Lega. Poche parole o nessuna sulle indagini della Corte dei Conti, che indaga sul ministro dell’interno per l’uso dell’aereo di Stato. Probabilmente non voleva essere accusato di attacco personale (senza contare che alcune vicende urbanistiche e lavoristiche che hanno interessato Di Maio sono recenti). Il bottino dell’offensiva non è comunque male: i sondaggi danno la Lega sotto il 30 per cento.

Negli ultimi trenta giorni Di Maio ha provocato Salvini sapendo di giocare sul velluto. Il leader leghista però non ha abbassato le penne sapendo che Di Maio si è schiacciato sui pentastellati ex Pd nel flirtare col Pd. Poi nello scorso week-end un esponente di terza fila dell’Onu ha rilanciato il tema dell’immigrazione e della Sea Watch fornendo munizioni ai Cinque Stelle ma Salvini ha scartato e ha richiamato gli alleati su autonomia regionale e flat tax. Su questi due nodi politici, infatti, Salvini potrebbe rompere, scaricando ogni responsabilità sui grillini, i quali si macchierebbero di slealtà e trasformismo per aver stracciato il contratto di governo ed essersi allineato col Pd al fine di consumare con successo il tradimento.

Nel contempo, Giovanni Tria racconta alla Confindustria che la produzione industriale aumenta più delle previsioni ma meno delle aspettative. Non confessa, invece, che la disoccupazione aumenta; perché in Italia il costo del lavoro è eccessivo, la sindacalizzazione delle relazioni industriali un freno, la politicizzazione delle politica economica una iattura.

Domenica prossima gli elettori decideranno chi ha ragione perché alcune scelte politiche del governo sono antitetiche, ancorché tutte vedano nell’Ue un antagonista prevenuto. Perché questo pensa Di Maio quando parla di Tav e Reddito di cittadinanza e Salvini quando si parla di immigrazione e Flat tax e sblocco delle opere pubbliche a costo di sforare il 3 per cento.

Speriamo solo che lunedì mattina riusciremo a capire se le critiche dei 5S alla Lega sono la risposta alla disponibilità di Nicola Zingaretti ad un governo giallorosso.

Aggiornato il 23 maggio 2019 alle ore 12:35