La sinistra cavalca il “Russiagate”

Era inevitabile che montasse come un’onda e il Partito Democratico si premurasse di cavalcarla, dimenticando dei miliardi di rubli incassati dal suo avo dal 1947 alla quasi fine dello scorso secolo. L’esigenza della commissione di inchiesta è indiscutibile, ma deve riguardare il finanziamento illecito e illegittimo in sé, non di questo o quel partito.

Il Russiagate è un’occasione irripetibile per gli avversari del leader leghista, ma potrebbe diventare la sua fortuna. Qualora si rivelasse una fake news, nulla difatti fermerà più Matteo Salvini. Il problema però c’è, è politico e va affrontato con una strategia, non tatticamente, come invece il vicepremier ha abituato alleati e avversari ad affrontare i problemi di governo.

Le norme del Decreto sicurezza bis sugli sbarchi pilotati da Ong (impegnate a logorare la politica sull’immigrazione gialloverde nella speranza di un incidente che possa essere additato alle coscienze del buonisti per affossarla); l’urgenza della decisione sull’autonomia regionale per scuola e sicurezza; la pretesa di un leghista come commissario europeo sono posizionamento dei pezzi sullo scacchiere di Giuseppe Conte (che ha già riconosciuto il successo elettorale della Lega con la nomina degli ultimi due ministri). Ma anche tattica per modificare il tono della politica a spartito 5 Stelle.

Il Russiagate dovrà essere gestito altrimenti, perché la sua semplice evocazione è fango nel ventilatore e sarà impossibile per Salvini evitare tutti gli schizzi. Anche se Governo e il Movimento 5 Stelle facessero muro a difesa. Alcuni duri e puri però non ci staranno e l’accusa, una volta diventata ritornello, entrerà nell’immaginario collettivo.

Quando scoppiò il caso Ruby, Umberto Bossi consigliò Silvio Berlusconi di andare in tivù, rivendicare il diritto alla privacy e il diritto di vivere il privato come preferiva, quindi dimettersi e puntare alle elezioni. Berlusconi tentennò e poi seguì il consiglio di mediare. Finì sulla graticola come sappiamo.

Affrontare il Russiagate non vuole dire sposare la tesi che la miglior difesa sia l’attacco, ma inquadrare la risposta alle condizioni politiche in corso. Che importa rispondere ad alcuni interrogativi: quale è il reale stato dei rapporti con il M5S sui temi del “Contratto di governo”? Perché la riforma del Consiglio superiore della magistratura, e più in generale della Giustizia (in particolare la separazione delle carriere pm-giudici, l’obbligatorietà dell’azione penale ma anche la giurisdizione amministrativa), non sono le leggi da approvare ma l’architettura costituzionale da concordare e modificare; fino a che punto i 5 Stelle terranno sulla linea del “No” agli sbarchi? Perché in caso di incidente in mare (purtroppo, per tutti, sempre più probabile) il loro sganciamento lascerebbe Salvini e la Lega a fronteggiare da soli lo tsunami buonista nazionale ed europeo; la crescita leghista è giunta al suo apice? Perché la Lega cresce da due anni ma anche la più longeva che si conosca (l’economica cinese) ha rallentato e rischia addirittura di fermarsi se non si troverà l’accordo con quei pazzi di sushi e suv degli Usa.

Gli italiani sono volubili e sanno che con sicurezza e autonomia regionale si vivrà meglio in futuro, ma non aiutano a pagare le bollette o il mutuo. Inoltre sono arrabbiati e si sentono poveri, sporchi e presi in giro. I Cinque Stelle hanno sempre sostenuto che la loro nascita e poi la loro vittoria hanno disinnescato derive violente. Se lo pensano ancora, convengano che il rischio è tutt’ora presente e gli italiani non hanno bisogno del reddito di cittadinanza, ma di lavorare per recuperare il rispetto di loro stessi, guadagnando. C’è un problema di convivenza sociale, eppure il Pd bolla come sovranista violenta la politica del governo. Nel silenzio più o meno significativo del Colle.

Di certo, col Russiagate, Salvini rischia la credibilità, dunque tutto. Farebbe bene a ricordare che spiegare agli italiani se, perché e come la Lega ha ricevuto fondi irregolari (in occasione di operazione commerciali con la Russia) è preferibile a mentire, sapendo di mentire. E che la conferma dell’accusa avrebbe le stesse conseguenze della mancata dimostrazione, senza se e ma, della sua falsità.

Aggiornato il 15 luglio 2019 alle ore 12:51