Un popolo agli arresti domiciliari

In questi giorni, da quando cioè è in vigore il decreto governativo che impone di stare in casa per ragioni urgenti di pubblica igiene, permettendo di uscire solo per esigenze di lavoro, sanitarie o di primaria necessità, 60 milioni di italiani abbiamo sperimentato come si vive agli arresti domiciliari. La condizione di ciascuno di noi e di interi gruppi familiari, infatti, combacia in modo abbastanza preciso – e in via di puro fatto – con il regime degli arresti domiciliari previsto e disciplinato dalla legge processuale penale. Innanzitutto, non possiamo uscir di casa quando e come vogliamo. Possiamo farlo, come accade anche ai detenuti agli arresti domiciliari, solo per andare a lavorare, ma deve trattarsi di un’uscita che abbia come destinazione proprio il luogo di lavoro: di volta in volta, la fabbrica, lo studio professionale, la tabaccheria.

E siamo sottoposti ad eventuali controlli polizia esattamente come accade per i detenuti in regime di arresti domiciliari: se la ci ferma, siamo tenuti a giustificare il nostro transito per via, dichiarando dove ci stiamo recando e perché. Successivamente, le nostre dichiarazioni, adeguatamente verbalizzate, potranno essere verificate e, se non veritiere, potranno dar luogo ad una denuncia ai sensi del Codice penale. In secondo luogo, potremo giustificarci affermando di doverci recare in ospedale o in farmacia, per un controllo urgente o per un farmaco di cui abbiamo bisogno: e anche qui le necessarie verifiche di polizia.

Infine, potremo allegare la necessità di fare la spesa, acquistando i generi alimentari e quelli di primario sostentamento. E ciò esattamente come accade ai detenuti agli arresti domiciliari, ai quali il Tribunale accorda naturalmente alcune ore al giorno di libertà per procurarsi appunto il necessario per vivere. Ultimamente, è accaduto a Vittorio Cecchi Gori, al quale succede qualcosa di straordinario – in quanto mai accaduto a nessuno prima di lui – perché in nulla il suo obbligo di rimanere a casa agli arresti domiciliari – in forza di una sentenza definitiva – differisce, nei fatti, da quello che invece incombe sui suoi vicini di casa: agli arresti domiciliari lui, agli arresti domiciliari loro.

Ma già dopo alcuni giorni ci siamo tutti stancati, benché tutti restiamo a casa forse per paura di un contagio, forse per paura di una denuncia in sede penale. Tuttavia, in Italia ci sono almeno due persone autenticamente felici di questa situazione e che penso stiano toccando il cielo con un dito: Piercamillo Davigo e Marco Travaglio. Entrambi – sia pure con sfumature diverse, più strettamente processuali il primo, più ovviamente giornalistiche il secondo – saranno entusiasti di vedere finalmente agli arresti domiciliari ben 60 milioni di italiani.

Certo, non è proprio il massimo – e subito vedremo perché – ma bisogna ammettere che neppure nei più ambiziosi dei loro sogni avrebbero mai potuto immaginare un risultato così portentoso, in così breve tempo e praticamente senza particolari sforzi. Immaginiamo Davigo che, preda di una sorta di un inarrestabile orgasmo psicologico-giuridico, saltella per casa abbracciando i familiari e congratulandosi con loro per l’esito insperatamente raggiunto oppure telefona ad amici e conoscenti, magari per occultare dietro generiche domande sulla loro salute, inconfessabili verifiche sulla loro permanenza in casa. E immaginiamo Travaglio, esultante, in fremente attesa delle domande che Lilli Gruber gli rivolgerà nel corso del prossimo Otto e mezzo, al quale egli verrà immancabilmente invitato a partecipare, pronto a dichiarare la sua inattesa felicità, tanto intensa, quanto imprevedibile.

Pensateci bene: 60 milioni di persone agli arresti domiciliari! E quando mai essi avrebbero potuto prefigurarsi questo enorme carcere ove detenere tutti questi sicuri colpevoli, milioni di colpevoli, inconsapevoli forse, ma comunque colpevoli di qualcosa! E che quasi nessuno di questi milioni di detenuti lo sappia con precisione, non importa. Se non sanno perché sono colpevoli, altri lo saprà per loro e comunque questi sono dettagli sui quali non vale la pena perder tempo. Infatti, come è noto, non è che uno deve andare in carcere perché riconosciuto colpevole di un illecito. No! Nella immaginazione di Davigo e di Travaglio, la cosa funziona al rovescio, come magistralmente Franz Kafka ha mostrato nelle sue più riuscite pagine: dal momento che sei in carcere, devi essere di certo colpevole. E tanto basti. Tuttavia, c’è un però; ed è un però, declinato in tre forme, che un poco guasta la gioia incommensurabile dei due.

Infatti, essi sanno che questo stato di inattesa ed intensa beatitudine loro riservata, non potrà durare che qualche settimana, e che comunque è destinato per forza di cose ad estinguersi in un tempo relativamente breve. Certo, non che loro agognassero l’ergastolo, ma insomma, visto che si tratta di un vero dono del cielo, chissà se fosse possibile farlo durare almeno qualche annetto…e giù, forse, preghiere e giaculatorie per sensibilizzare il Padreterno allo scopo, in attesa di una insperata grazia. In secondo luogo, essi non amano tanto che la sanzione incomparabilmente più severa per i trasgressori del divieto di uscire di casa non sia dovuta alla legge, ma sia invece il contagio tanto temuto. Infatti, avrebbero preferito che la natura lasciasse campo al giudizio di un bel Tribunale che potesse dispensare meritate condanne. E invece no, non possono farci nulla: la natura non si piega ai Tribunali. Finora.

Infine, particolare non trascurabile, Davigo e Travaglio sono loro medesimi agli arresti domiciliari, sottoposti agli stessi obblighi di tutti gli altri 60 milioni di italiani e questo sarebbe davvero un bel problema. Per tutti gli altri, forse, ma non per loro, che invece son ben disposti a sacrificarsi di persona in cambio dello spettacolo più sublime che si possa immaginare: aver reso l’intera Italia un enorme carcere per tutti gli italiani. Di fronte al brivido di questa goduria, cosa volete che sia restarsene a casa per qualche giorno… E non si adontino Davigo e Travaglio per questo “scherzo” di fantasia dal sapore vagamente letterario. Pensino, se occorre, al verso di Giovenale: in alcuni casi – e in questo fra quelli – “Difficile est saturam non scribere”.

  

  

 

 

  

 

 

 

Aggiornato il 16 marzo 2020 alle ore 13:50