Limiti e virtù della storia radicale

Il Pannella di Teodori e Panebianco

“Il lettore vedrà che gli autori concordano su molte cose ma su altre no”.

Mettono le mani avanti Angelo Panebianco e Massimo Teodori fin dalle righe introduttive del loro recente saggio La parabola della Repubblica. Ascesa e declino dell’Italia liberale (Solferino, 256 pagine, 16,15 euro). Tutti e due ben presenti nell’album della famiglia radicale (Teodori è stato anche parlamentare dal 1979 al 1992), convengono nell’individuare la maggiore cesura nella storia del Partito radicale nella scelta “transnazionale” presa alla fine degli anni Ottanta, scelta non felice per entrambi.

Panebianco, difatti, si sarebbe piuttosto aspettato, sul modello delle politiche economiche inaugurate in quel decennio da Ronald Reagan e Margaret Thatcher, che Marco Pannella, al quale pur spetta “un posto di rilievo nella storia del liberalismo italiano”, desse vita “a qualche movimento volto a rivendicare più libertà economica o di mercato”. Più duro Teodori che accusa il “dissipatore” Pannella di aver snaturato storia ed eredità radicali in un “fantomatico partito trans senza alcuna consistenza”, a sua volta “duplicato da una “Lista Pannella” in funzione elettorale che rispondeva solo alle volontà del capo”.

Non che prima di quella esiziale mutazione il Partito radicale fosse privo di mende, che anzi per Teodori esso, pur avendo agitato giustamente la bandiera della battaglia antipartitocratica, avrebbe ecceduto in verve polemica nel liquidare indistintamente come “regime” il sistema politico della cosiddetta Prima Repubblica, palesando così come “il seme populista” si fosse “inconsapevolmente incuneato nelle nostre fila”. Nonostante questo limite, Teodori rivendica orgogliosamente al Partito radicale storico il merito di aver assicurato agli italiani negli anni Settanta e Ottanta quei diritti civili che i partiti laici post-risorgimentali non erano stati in grado di garantire.

Ma, paradossalmente, di quello che Teodori riconosce essere stato il maggior merito dell’esperienza dei radicali, Panebianco enfatizza invece le presunte degenerazioni successive. Se il divorzio, l’obiezione di coscienza, la sempre più compiuta parità dei diritti tra uomini e donne secondo il politologo bolognese sono da considerare una necessaria espansione dei diritti individuali, la campagna per la legalizzazione dell’aborto, anch’essa doverosa, con il massiccio protagonismo dei movimenti femministi “assunse il significato di una battaglia di libertà senza spine né problemi”. Accusa, questa, non da poco, che avrebbe, pur nell’economia di un pamphlet, meritato qualche riga in più come l’avrebbe meritata anche la considerazione che da allora le richieste di maggiori diritti, avanzate da minoranze organizzate, sarebbero state sempre più espressione di logiche identitarie, che rischierebbero ancora oggi per Panebianco di far saltare l’irrinunciabile bilanciamento tra libertà personali e vincoli comunitari.

Aggiornato il 07 luglio 2022 alle ore 11:30