Intellettuali e politica: analisi di un divorzio

Giorgio Caravale nel suo Senza intellettuali. Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni (ma, in verità, con incursioni anche nei decenni immediatamente precedenti) rifugge sia la Laudatio temporis acti, quando i partiti di massa alimentavano corsi di formazione e sostenevano istituti di ricerca, sia moralistiche recriminazioni circa la sufficienza con cui oggi il mondo della politica guarda a quello della cultura. Nei primi decenni repubblicani, ricorda Caravale, la dirigenza del Partito comunista, nel tentativo di dare spessore culturale alla progettata “Via italiana al socialismo”, invitava la storiografia marxista a investigare forme e modalità della funzione progressiva svolta dal movimento operaio, non solo nel contesto italiano.

L’egemonia culturale di quella storiografia avrebbe raggiunto probabilmente la massima espressione negli anni Settanta con l’einaudiana Storia d’Italia. I nomi, solo per citarne alcuni, di Emilio Sereni, Gastone Manacorda ed Ernesto Ragionieri, stanno lì a testimoniare come la funzione certamente pedagogica assegnata dal Pci alla cultura abbia comunque contribuito a produrre lavori di indubbio valore. Se poi anche la Dc avrebbe condiviso “la stessa visione teleologica della storia avallata dalle grandi ideologie di matrice marxista” (pagina 69) nel tentativo di dare corpo alla ‘nuova cristianità’ di ispirazione maritainiana e montiniana, il Psi dalla seconda metà degli anni Settanta appoggiò iniziative quali l’Istituto socialista di studi storici e la nuova stagione della rivista Mondoperaio che avrebbero messo in discussione la lettura novecentesca del movimento socialista offerta dagli storici vicini al Pci.

La dissoluzione delle ideologie novecentesche e, più in generale, di rassicuranti visioni deterministiche della storia umana insieme alla percezione di un Paese in declino, hanno costretto la classe politica, a partire dagli ultimi anni dello scorso millennio, a rinunciare a visioni di lungo periodo. Nel primo decennio del XXI secolo, così, si sono affacciati sul proscenio politico intellettuali, non più di partito, ma ad personam, consiglieri del princeps di turno, e, insieme a questo, consegnati all’oblio con la velocità di una meteora. In anni più recenti, poi, con l’esplosione dell’antintellettualismo populista la frattura tra politica e cultura ha raggiunto la sua acme.

Che fare, allora? Caravale auspica che tale divorzio si trasformi in un’autonomia rispettosa dei diversi ruoli, con intellettuali non dediti solo a coltivare i propri orticelli specialistici ma che si impegnino nel dibattito pubblico avanzando proposte a una classe politica non più incline a concepire i primi come figure al proprio servizio. Un auspicio, in fondo, non dissimile da quello formulato da Max Weber agli inizi del secolo scorso quando, a fronte del fine, posto esclusivamente dal decisore politico, il pensatore tedesco aggiungeva come invece “alla considerazione scientifica (fosse) accessibile anzitutto, incondizionatamente, la questione dell’opportunità (rectius: appropriatezza) dei mezzi” in relazione ad esso (Max Weber, L’oggettività conoscitiva della scienza sociale e della politica sociale, ora in Idem, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1958, pagina 59).

(*) Senza intellettuali. Politica e cultura in Italia negli ultimi trent’anni di Giorgio Caravale, Laterza 2023, 176 pagine, 17,10 euro

Aggiornato il 13 dicembre 2023 alle ore 16:04