Antonio Velardo, storia di (stra)ordinaria ingiustizia

Antonio Velardo, imprenditore di origini italiane, esperto di finanza e di criptovalute, uno dei massimi esperti del settore stimato e apprezzato a livello internazionale, in questi giorni si ritrova al centro di uno tsunami. Vediamo perché.

Velardo poco più che 18enne lascia l’Italia, precisamente Pompei, dove la sua famiglia si occupa di costruzioni da tre generazioni (senza mai avere a che fare con la giustizia o l’ombra della criminalità organizzata) per andare a studiare all’estero aiutato dal padre; negli Stati Uniti prende il brevetto di pilota e poi a Londra ottiene una laurea in ingegneria. È un uomo intelligente e capace, che sa cogliere le occasioni, le usa e mette in gioco se stesso lavorando duramente e riuscendo a ottenere successi personali grazie al suo talento di seller nel campo immobiliare e questo sempre stando all’estero. Si occupa di vendite di marketing, lui non costruisce case ma le vende e quando dall’Irlanda e dall’Inghilterra riesce a portare centinaia di persone a comprarsi una casa al mare in luoghi molto belli di villeggiatura, lo fa con grandissima professionalità e con ottimi risultati. Il suo business nella vendita immobiliare inizia a Capo Verde, dove vende case per vacanze a clientela esclusivamente straniera. Imparando bene il mestiere, Velardo decide di mettersi in proprio e insieme a un socio irlandese e ai loro capitali personali – tutto documentato – investono in Calabria, iniziando a vendere gli appartamenti del villaggio “Jewel of the sea”, che è quello da cui sono emersi i problemi, l’unico perché in Calabria a Pizzo Tropea ci sono due splendidi villaggi abitati da centinati di stranieri a cui la società di Antonio Velardo ha venduto case di villeggiatura senza alcun problema per nessuno. Ma l’operazione “Jewel of the sea” è stata un inferno per molti anni, un incubo dove la giustizia italiana dopo qualche incertezza ha escluso ogni collegamento di Antonio Velardo con organizzazioni criminali, assolvendolo in toto nel processo “Metropolis” in cui era stato coinvolto. Da mettere in evidenza il fatto che il socio irlandese, anch’egli diffamato, è stato assolto e risarcito economicamente per ingiusta detenzione.

Velardo era un imprenditore che vendeva case, lo faceva onestamente rispettando le regole, e a dirlo non è lui con i suoi avvocati ma sono le sentenze dei tribunali che lo hanno prima indagato, processato e assolto. Allora perché stiamo ancora parlando di Antonio Velardo? Perché qualche giorno fa un ennesimo scandalo finanziario ha fatto emergere 700 nomi di italiani che avevano dei conti segreti in banche svizzere, reportage conosciuto come “Suisse Secrets”. Velardo ha trovato indebitamente il suo nome nell’elenco di questi 700 italiani e qualche giornalista zelante ma un po’ superficiale ha cominciato a unire i punti in modo strabico e impreciso. Sicuri della buona fede dei giornalisti, abbiamo iniziato in questi giorni un percorso di verità, di rispetto e di trasparenza.

Qui analizziamo sinteticamente i punti: i 3 conti in Credit Suisse non erano segreti, nel 2009 Velardo aveva conti regolari in Credit Suisse; infatti, sono gli stessi conti correnti messi a disposizione dalla Svizzera e consegnati alla magistratura italiana, la cui trasparenza è stata una dei fondamenti delle sue assoluzioni. I conti sono stati verificati in Italia e le autorità svizzere hanno firmato il decreto di “abbandono”, non avendo motivo di credere che il denaro potesse avere origini illecite. I conti sono stati aperti dopo, nel 2010, mentre le attività oggetto dei processi erano terminate nel 2009. Quindi, parlare di questi conti e assimilarli a quelli segreti di altri e alludere che possano essere fonte di illeciti è un’azione priva di ogni fondamento. La natura e l’origine del denaro posto nei conti del Credit Suisse sono leciti, rintracciabili e giustificati; niente di più che i dividendi delle attività di marketing e vendita sono alla luce del sole. Pertanto, alludere in modo suggestivo e ossessivo al fatto che Antonio Velardo abbia riciclato del denaro di chicchessia è semplicemente assurdo e la suggestione indotta dalle accuse si sono definite con l’assoluzione piena in primo grado, per il quale è stata esclusa la possibilità che Velardo potesse avere riciclato soldi della ‘Ndrangheta, e questo non dovrebbe consentire a nessuno di dire il contrario. Anche perché il secondo procedimento di riciclaggio chiamato “Black money” era relativo all’esercizio dello scudo fiscale: in quel caso come reato presupposto era evasione fiscale, non certo mafia! Naturalmente assolto anche in quello in primo grado! Non appellato. Perché non è reato reinvestire i soldi scudati!

In conclusione, forse Antonio Velardo non doveva essere processato, ma per ben due volte è finito sotto procedimento e questo ha cambiato il corso della sua vita; Velardo però è sempre stato assolto, l’unica condanna è stata quella in primo grado nel processo “Black money” per associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale. Tuttavia, nello stesso processo che lo vede assolto per tutti gli altri capi d’accusa, in questo e unico capo, per cui è stato condannato, vede l’immediata e clamorosa restituzione di denaro e aziende. A ogni modo, verrà assolto in secondo grado per prescrizione, ma non ha voluto dimostrare la sua innocenza totale solo per non rientrare nella spirale snervante che sono i processi. Nello stesso processo non ne è rimasto nulla dopo questo passaggio, ma questa è un’altra storia. La reputazione di Antonio Velardo, umana e professionale, non può essere minacciata da fatti inesistenti. Ora è tempo di restituire serenità e verità a tutta questa vicenda.

 

Aggiornato il 02 marzo 2022 alle ore 16:34