Io che non vivo più di un’ora senza te

In un talk show della tivù, dedicato alla povera Giulia, un’ospite ha menzionato una canzone, quella del titolo, a sua detta scritta dai giovani musicisti di oggi, come segno dei tempi. In realtà la canzone, che visto l’età la signora avrebbe dovuto conoscere, fu presentata dal grande Pino Donaggio al Festival di Sanremo del 1965, ma il fraintendimento si presta a una considerazione adesso più attuale che mai. Il concetto base della canzone è questo: “Tu sei mia”. Frase considerata allora un inno all’amore ma interpretata oggi come un pericoloso messaggio di follia. Ma è anche la dimostrazione che ieri come oggi i sentimenti umani non sono cambiati. Allora qual è la differenza? La differenza è che oggi, con molta più facilità, il desiderio respinto dà spazio alla violenza. Quindi non è l’amore, da combattere, e sarebbe il colmo, ma il facile ricorso alla violenza. La società evidentemente è mutata anche più del clima e non possiamo più negarlo. Nell’attuale cultura occidentale i freni che ponevano le famiglie un tempo non vengono più imposti e ciò ha creato vantaggi ma anche problemi. In questi giorni tutti vogliono suggerire soluzioni: cominciamo a educare fin dalle elementari, aumentiamo le pene, isoliamo i soggetti pericolosi, lavoriamo sulle famiglie eccetera. Poi succede che l’assassino era un bravo ragazzo e il castello di carte della prevenzione crolla miserabilmente. Perché?

C’è una realtà che esiste ma si fatica a riconoscere. Essa risiede nella diversa natura del maschio, un problema forse semplicemente ormonale ma purtroppo negato proprio da quando si è voluto pianificare l’eliminazione della differenza di genere. Tutte le donne puntano il dito contro gli uomini e lo sta facendo per prima la sorella di Giulia. Per loro è facile, perché la pulsione di cui parliamo fisiologicamente è meno aggressiva e quindi non la conoscono. È un problema che non giustifica ovviamente la violenza ma non va ignorato che ne costituisca l’origine. È questo che, insieme alla supremazia nella forza fisica, fa sì che i delitti di genere siano al 90 per cento a danno delle donne. Se ne sono dette di tutte, sulle cause scatenanti, come accusare le ragazze tutte in giro e provocanti, i social, TikTok e via dicendo, senza capire che nemmeno il ritorno al fondamentalismo intransigente sarebbe la soluzione, visto che in Iran, per esempio, i femminicidi ci sono ancora, solo che li commettono le istituzioni e non i cittadini. Inutile, infine, aumentare le pene, perché in quei momenti gli aggressori non pensano all’entità della condanna, così come non pensano che oltre a distruggere un’altra vita stanno per distruggere la propria (sono quasi sempre arrestati).

A questo scopo modificare la legge risolve poco, se non per finanziare le attività sviluppate al riguardo. Anche perché, nonostante il femminicidio si reputi molto diffuso, esso riguarda solo lo 0,000004 per cento della popolazione (106 casi su 25 milioni di maschi adulti), il che rende risibile l’idea che circola sul manifestare contro i maschi in genere. Abbiamo riascoltato la canzone, hit della nostra adolescenza, ed è bellissima, ma purtroppo ci fa crescere i rimpianti per quell’epoca. Allora, dato che indietro non si può tornare, non sprechiamo l’occasione di impegnarci per risolvere questo problema, ricordandoci, per esempio, che Filippo dormiva col pupazzetto e mancava poco che i genitori gli permettessero di usare il ciuccio, però ha avuta la ferocia di Al Capone nell’uccidere un’indifesa. Quindi impegniamoci nel conoscere i nostri figli e non diamogliele sempre tutte vinte. Altrimenti, anche se la legge ancora non lo prevede, in questi casi dovremo sentirci correi.

Aggiornato il 24 novembre 2023 alle ore 12:18