racollo degli investimenti in
pubblicità televisiva. Sono in
profonda crisi anche i ricavi degli
altri media. I dati della società
americana di ricerca Nielsen rife-
riti all’ultimo trimestre del 2012
sono impietosi ed allarmanti. La
botta maggiore l’ha subita la Rai
con una diminuzione complessiva
del 22,2%. La Sipra (che ha rin-
novato i vertici da poco) ha rac-
colto soltanto 778 milioni di euro.
Molto male anche Mediaset che,
secondo
Milanofinanza
, ha lascia-
to sul terreno il 16,6%, raggranel-
lando 2.233 milioni. In controten-
denza soprattutto Sky e La7. La
tv del gruppo del miliardario au-
straliano Rupert Murdoch (spesso
molto contestato per le sue scelte)
ha chiuso il trimestre con una rac-
colta di 340 milioni (+2,4%) men-
tre l’emittente del gruppo Telecom
Italia Media (in vendita con il to-
rinese Cairo e la sua Cairo Com-
munication che ne raccoglie la
pubblicità in pole position) ha in-
cassato spot per 165 milioni di eu-
ro (+1,6%).
Per gli altri settori un anno di
pubblicità disastroso. Tutti i media
tradizionali in crisi nera ad ecce-
zione di Internet (ricavi per 605
milioni, +7,1%). Gli investimenti
pubblicitari sui quotidiani sono
calati del 16,9%, sui periodici de
17,8%, sulle radio del 10,2%. Il
tonfo peggiore degli investimenti
T
pubblicitari lo ha fatto registrare
il cinema con il 24,9% (un dato
che dovrebbe aprire una seria ri-
flessione nel mondo cinematogra-
fico italiano).
Secondo le stime di Havas Me-
dia il mercato pubblicitario do-
vrebbe flettere di un altro 2,5%
nel 2013, scendendo a circa 7,5
miliardi di spesa. Quali le cause?
Il calo dei consumi nel periodo na-
talizio e di fine anno ha allarmato
aziende, centri di osservatorio dei
media e concessionarie di pubbli-
cità. Il 2012, nonostante due even-
ti come i campionati europei di
calcio e le Olimpiadi di Londra, è
risultato uno dei peggiori della
storia recente. A fine anno la rac-
colta complessiva dovrebbe essere
stata minore degli otto miliardi e
della media del triennio 2001-03
quando gli investimenti oscillava-
no sopra i 7,5 miliardi.
L’editoria, pertanto, ha perso
dal 2007 circa 3 miliardi d’investi-
menti pubblicitari. Un calo del 22
a causa della recessione economica
che ha coinvolto la grande e la pic-
cola editoria, basti considerare i
9mila fallimenti aziendali, l’aumen-
to della disoccupazione e il ricorso
alla cassa integrazione (oltre un
miliardo di ore). Dopo cinque anni
neri non si parla più di crisi mo-
mentanea o congiunturale ma di
crisi di tipo strutturale con il timo-
re che non si possa più raggiungere
i livelli del 2006-7. C’è preoccupa-
zione nel mondo dell’editoria, an-
che per l’assenza di prospettive go-
vernative e parlamentari sullo stato
di salute del settore.
Nell’ambiente è stata anche
ventilata l’ipotesi di effettuare ope-
razioni di raggruppamento delle
concessionarie tra Rcs Media
group, Sole 24 ore, PubliKompass
della Stampa di Torino, di razio-
nalizzare la galassia Mediaset-
Mondadori accorpando Pubblita-
lia con Digitalia08 e Mediamond.
Cresce in maniera vorticosa
(+40%) la pubblicità su Internet
che secondo l’Agcom rappresenta
l’elemento di maggiore novità e il
secondo mezzo pubblicitario su-
perando la radio, ad un ritmo di
crescita che va a danno di altri
media tradizionali.
SERGIO MENICUCCI
II
POLITICA
II
Ecco la svolta sinistra di Bersani (e di Monti)
di
FEDERICO PUNZI
he cosa succede quando
un’alleanza già squilibrata a
sinistra si sposta ancora più a si-
nistra? Rischia di restarci schiac-
ciata e di trascinare con sé
un’operazione centrista che si fin-
ge equidistante, ma sa che il suo
unico sbocco è proprio a sinistra.
L’ossessione del Pd di non avere
nessuno alla propria sinistra, se
non un alleato (vedi Di Pietro nel
2008, Vendola oggi), sembra dura
a morire e in passato è stata causa
di pesanti debàcle elettorali o di
mezze vittorie. La storia si sta ri-
petendo. Manifestando l’intenzio-
ne di rivedere, per limitarla ulte-
riormente (è stata già ridotta del
30%), la spesa per gli F-35, Ber-
sani dice una cosa molto “di sini-
stra”, di vecchia sinistra, per ten-
tare di fronteggiare su quel fronte
la concorrenza del movimento ve-
tero-comunista di Ingroia, che po-
trebbe essere determinante in ne-
gativo nelle regioni in bilico per
il Senato (Lombardia, Campania
e Sicilia). Anche perché l’ex ma-
gistrato, insieme a Grillo, sta ero-
dendo consensi a Vendola, al qua-
le il Pd aveva “appaltato” il traino
degli elettori più a sinistra.
Ma se Bersani può spostarsi a
sinistra è perché al centro si sente
coperto: da Renzi, la cui presenza
in questa fase della campagna do-
vrebbe ricordare agli elettori che
il Pd è anche il partito del giova-
ne e moderno sindaco di Firenze,
non solo quindi un covo di ex co-
C
munisti costretti a inseguire In-
groia e Ferrero; e da Monti, che
non dovrebbe infierire troppo sul-
lo spostamento a sinistra del Pd,
limitandosi a polemizzare sul
conservatorismo di Vendola e Ca-
musso.
Tutto lascia intendere, infatti,
che tra il segretario del Pd e il
premier uscente ci sia davvero, se
non un accordo di massima per
un’alleanza di governo post-voto,
almeno una sorta di divisione dei
compiti in campagna elettorale:
il primo può dedicarsi tranquil-
lamente al suo fronte sinistro, an-
che perché sa che dal centro non
arriveranno bordate tali sfondare
lo scafo, al massimo qualche piz-
zicotto.
Lo sforzo di Monti è quello di
presentarsi come alternativo sia
alla destra che alla sinistra. Tutti
i suoi discorsi sulle riforme osta-
colate in Parlamento sia dal Pd
che dal Pdl, da cui la necessità di
«federare i riformatori», la sua
teoria sul superamento delle ca-
tegorie di destra e sinistra, vanno
in questa direzione. Si sta sforzan-
do di non dare l’impressione di
essere già pronto ad un accordo
con Bersani, insomma di scrollarsi
di dosso l’immagine di “stampel-
la” della sinistra. Ma non ci sta
riuscendo, i sondaggi mostrano
che la sua lista stenta a decollare
a destra. Non sorprende, dal mo-
mento che un po’ per simpatie
personali, un po’ per realismo po-
litico – perché si rende conto che
centro e sinistra sono obbligati ad
accordarsi dopo il voto per il go-
verno del paese – non può per-
mettersi strappi né toni troppo ag-
gressivi nei confronti del Pd. Se
contro Berlusconi e il centrodestra
impugna la roncola, nei confronti
del centrosinistra il fioretto: scher-
maglie con Vendola e sulla Cgil,
ma più che conciliante con Bersa-
ni. Emblematica la sua ultima in-
tervista a Ballarò: da una parte,
Berlusconi è un «manipolatore
della realtà», se vince «tanto di
cappello, ma sarebbe un disastro
per noi italiani»; dall’altra, «il pe-
ricolo comunista nel Pd non esi-
ste», Bersani è una «persona se-
ria», sbaglia solo a «immaginare
di poter governare con Vendola e
Camusso».
L’uscita sugli F-35 è solo un
primo passo, la svolta a sinistra
del Pd sarà completata, e suggel-
lata, venerdì e sabato a Roma, al
Palalottomatica dell’Eur, dove si
terrà la presentazione del “Piano
del lavoro”, il contributo pro-
grammatico della Cgil alle forze
di sinistra, di cui appare sempre
più azionista di maggioranza. Fa-
cile immaginare che da quella ker-
messe uscirà una nuova foto di
gruppo dopo quella ormai supe-
rata di Vasto. Una foto Bersani-
Vendola-Camusso.
L’evento della Cgil si annuncia
quindi come un crocevia della
campagna elettorale: da come ne
usciranno Bersani, e Monti, dipen-
dono gli sviluppi successivi. Con
i suoi 40 miliardi di tasse in più
all’anno per il finanziamento di
un pacchetto di investimenti del
tutto dirigistico e il ritorno delle
nazionalizzazioni (poste e traspor-
to pubblico locale), il piano che
la Camusso si appresta a lanciare
è puro socialismo reale. Bersani
non potrà far finta di nulla per
mero calcolo elettorale, si dovrà
pronunciare su quel programma.
E a cascata anche Monti, la cui
prospettiva è quella di governare
con Bersani, dovrà pronunciarsi
sulla relazione speciale Pd-Cgil.
Se si accentua lo sbilanciamen-
to a sinistra, già piuttosto marca-
to, del Pd e se Monti non riesce a
presentarsi come inequivocabile
alternativa alla sinistra, dovendo
per realismo mantenere buoni
rapporti con essa in previsione di
un’intesa di governo, si apre per
il centrodestra una vera e propria
prateria di voti, da cui lo separe-
rebbero solo la delusione, la rab-
bia e il disgusto del proprio elet-
torato per la recente fallimentare
esperienza di governo, ma nessun
concorrente politico.
La riforma del lavoro è un te-
ma sul quale Monti può distin-
guersi dalla sinistra, ma la pole-
mica può spingersi solo fino ad
un certo punto. La flexsecurity di
Ichino, infatti, implica la riaper-
tura del conflitto sull’articolo 18,
su cui a sinistra la chiusura è to-
tale, e il superamento della rifor-
ma Fornero nella direzione esat-
tamente opposta a quella
auspicata da Pd e Cgil. Se Bersani
si sposta un po’ a sinistra, dun-
que, solo apparentemente il com-
pito del professore diventa più fa-
cile, come scrive Stefano Folli sul
Sole. Dovrebbe comunque man-
tenere una certa opacità nella sua
proposta politica, per non far
esplodere già in campagna eletto-
rale le contraddizioni, probabil-
mente insanabili, con la sinistra.
Crollo della pubblicità in Rai
Peggiorano i ricavi Mediaset
«La discriminante?
È ancora il lavoro»
l lavoro si conferma tema di-
scriminante tra le coalizioni».
L’ex ministro del Welfare, Maurizio
Sacconi, non ha dubbi: «Da un lato
c’è il centrodestra, che vuole ripren-
dere il percorso avviato dal governo
guidato da Berlusconi con l’amplia-
mento della detassazione dei salari
a partire da quelli erogati in base a
contratti permanenti per i giovani
o in relazione ad accordi aziendali
di produttività; con il sostegno re-
golatorio della libertà negoziale nel-
le aziende e nei territori in base al-
l’art. 8 della manovra 2011; con la
semplificazione della disciplina dei
contratti di lavoro cambiando la
legge Fornero e realizzando il pas-
saggio dallo Statuto dei Lavoratori
allo Statuto dei Lavori». «Dall’al-
tro - prosegue Sacconi - c’è la sini-
stra, che ripropone l’appiattimento
retributivo disposto dalla rigida
«I
contrattazione centralizzata, la pre-
tesa di un potere di veto della Cgil
su ogni accordo in base alla richie-
sta di maggioranze qualificate per
la sua approvazione, la conferma
di tutte le rigidità regolatorie che
inibiscono la propensione ad assu-
mere. Monti conferma peraltro il
desiderio di un accordo con la si-
nistra nel momento in cui frena la
detassazione sui salari di produtti-
vità limitandoli a 2500 euro annui
contro i 6000 del governo Berlu-
sconi e difende la legge Fornero,
che ha irrigidito tutte le tipologie
contrattuali non a tempo indeter-
minato nella presunzione di com-
portamenti dolosi in tutti i datori
di lavoro». «Anche nella crisi - con-
clude l’ex ministro - è quindi pos-
sibile fare più lavoro e più salario,
ma solo se si sceglie la via post
ideologica».
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 24 GENNAIO 2013
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