li austriaci sono andati alle urne per un
referendum sul servizio militare obbli-
gatorio. I votanti dovevano scegliere tra il
mantenimento dell’attuale sistema basato
sulla coscrizione o la transizione ad un eser-
cito professionale, sul modello ormai della
stragrande maggioranza dei paesi dell’Ue.
Favorevoli alla soppressione della leva erano
i socialdemocratici, i verdi, i liberali del Li-
berales Forum, gli euroscettici del Team Stro-
nach e la destra del Bzo, mentre a favore della
sua continuazione erano schierati principal-
mente i popolari e l’altro forte partito di de-
stra, la Fpo. Gli austriaci hanno votato al
59,8% per il mantenimento della naja, un
esito molto deludente per
tutti coloro che sognano
un’Europa finalmente li-
bera dalla coscrizione, ma
che si spiega in parte con
il fatto che la campagna
non ha avuto il coraggio
di toccare le questioni
morali fondamentali po-
ste dalla leva obbligatoria.
Le argomentazioni dei so-
stenitori del servizio mili-
tare vertevano sul fatto
che l’esercito di leva fosse
più coerente con il tradi-
zionale posizionamento di
neutralità dell’Austria e che il servizio civile
imposto agli obiettori di coscienza rispon-
desse ad importanti finalità sociali. In realtà,
la tesi secondo cui un esercito professionale
induca ad una politica estera più interventista
non appare per niente convincente, anche
considerando che nella storia dell’ultimo se-
G
colo quasi tutte le guerre sono state combat-
tute da eserciti di leva. (...) Il vero problema
della campagna referendaria austriaca è che
sono rimaste in secondo piano le vere que-
stioni morali. In primo luogo il carattere li-
berticida di uno strumento che subordina
l’individuo all’interesse superiore dello Stato,
imponendogli forme di lavoro forzato e chie-
dendogli potenzialmente ogni tipo di sacri-
ficio, fino a quello della vita. In secondo luo-
go la sistematica discriminazione sessuale
contro i maschi che vengono considerati il
“sesso spendibile” nell’interesse superiore
della Nazione. (...) Non dovremmo mai di-
menticare che nel corso del “secolo breve”
l’istituzione della leva ha
assunto le proporzioni di
un vero e proprio “olo-
causto di genere”, con
milioni di uomini man-
dati a morire dai loro
paesi per l’unica colpa di
avere un cromosoma Y.
(...) Privare della libertà
cittadini innocenti ed ob-
bligarli a “partire” riman-
da alle pagine più tristi
ed insanguinate del ven-
tesimo secolo; anche nel-
la migliore delle ipotesi ci
troviamo come minimo
di fronte ad uno “jus primae noctis” che lo
Stato reclama sui giovani di sesso maschile,
una “tassa di genere” che i ragazzi sono co-
stretti a pagare sul proprio tempo e sulla
propria aspirazione alla felicità (...).
MARCO FARACI
a Corte suprema indiana ammette che
nel tratto di mare dove i marò hanno
sparato c’erano stati attacchi dei pirati e il
peschereccio delle presunte vittime dei fucilieri
di marina non poteva navigare in quella zona
non essendo regolarmente registrato. Lo ri-
porta, nero su bianco, l’ordinanza della Corte
sul caso di Salvatore Girone e Massimiliano
Latorre. Oltre cento pagine firmate dai giudici
che svelano diverse “chicche” sull’imbaraz-
zante vicenda. Il lungo testo dell’ordinanza
si apre con l’ammissione che la zona dell’in-
cidente è a rischio bucanieri. «Negli ultimi
dieci anni abbiamo assistito a un acuto in-
cremento degli atti di pirateria in alto mare
al largo della Somalia -
scrivono i giudici - e an-
che nelle vicinanze delle
isole Minicoy che forma-
no l’arcipelago di Lak-
shadweep». (...) Al punto
29 dell’ordinanza si sco-
pre che il peschereccio St.
Anthony, di circa 12 me-
tri, scambiato dai marò
per un vascello pirata, ri-
sulta registrato solo nel
Tamil Nadu, un altro sta-
to indiano. Però «non era
registrato secondo l’In-
dian Merchant Shipping
Act del 1958 e non sventolava la bandiera
dell’India al momento dell’incidente». L’im-
portante requisito del rispetto della normativa
del 1958 avrebbe permesso al peschereccio
di navigare «al di là delle acque territoriali
dello stato del’Unione (il Tamil Nadu,
ndr
)
dove l’imbarcazione era registrata ». Questo
L
significa che il 15 febbraio il St. Anthony non
poteva far rotta nel tratto di mare dove ha
incrociato i marò imbarcati sul mercantile
italiano Enrica Lexie. Al punto 6 dell’ordi-
nanza viene sottolineata l’apertura dell’ in-
chiesta della procura di Roma contro Girone
e Latorre e la pena prevista: «Per il crimine
di omicidio è di 21 anni almeno di reclusio-
ne». L’ordinanza cita ripetutamente l’avvo-
cato Harish N. Salve, che si batte per la giu-
risdizione. «La Repubblica italiana ha un
diritto di prelazione nel processare» i marò.
Il legale chiama in causa due convenzioni in-
ternazionali, il Maritime Zones Act e l’Un-
clos, ambedue riconosciuti dall’India. (...)
Una chicca riportata
nell’ordinanza è la nota
verbale dell’ambasciata
italiana inviata il 29 feb-
braio scorso al ministero
degli Esteri indiano. Un-
dici giorni prima, Girone
e Latorre erano stati pre-
levati dalla polizia a bor-
do del mercantile Lexie
fatto rientrare con un tra-
nello nel porto di Kochi.
I nostri diplomatici riba-
discono la giurisdizione
italiana e l’immunità dei
fucilieri, ma «accolgono
con favore le misure prese per la protezione
della vita e dell’onore dei militari della marina
italiana». Peccato che cinque giorni dopo Gi-
rone e Latorre sono stati prelevati dalla po-
lizia che li “ospitava” agli arresti e sbattuti
in galera. Dire dilettanti è riduttivo?
Marò, il dilettantismo
della diplomazia italiana
La Corte suprema
indiana ammette
che nel tratto di mare
dove i marò hanno
sparato c’erano stati
attacchi dei pirati
e che il peschereccio
non poteva navigare
Austria, coscrizione
e“questione morale”
Nel corso del secolo
breve l’istituzione
della leva ha assunto
le proporzioni
di un vero e proprio
“olocausto di genere”,
con milioni di uomini
mandati a morire
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GIOVEDÌ 24 GENNAIO 2013
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