La potenza della distruzione

Delle bombe di Hiroshima e Nagasaki si ricordano tutti. In molti di noi è rimasta impressa l’immagine di una sorta di fungo incandescente rappresentato in una delle ultime pagine di un libro di storia unito e poche righe di commento che riassumono che l’atomica è stato essenzialmente l’episodio clou che ha sancito la fine del secondo conflitto mondiale. Quasi nessuno, per disinteresse o codardia, ha voluto approfondire quanto in verità fosse accaduto in quei tragici giorni dell’agosto 1945. L’istituto buddista “Soka Gakkai” è impegnato da anni nella sensibilizzare dell’opinione pubblica verso le tematiche del disarmo nucleare.

Il progetto “Senza atomica” è nato nel 2007 portando in giro per il mondo mostre e testimonianze con l’intento di offrire un’informazione concreta della situazione del nucleare a livello globale, proponendo la creazione di una società che possa e voglia scegliere il disarmo. Un ideale certamente rispettabile, forse un po’ utopistico stando alla (spesso crudele) cronaca attuale. In queste settimane, e fino al 26 aprile, la Soka Gakkai propone la tappa italiana della mostra nei locali della Pelanda del Macro di Testaccio, a Roma. Una mostra in sé non particolarmente appealing. Numerosi pannelli per (pochi) attenti lettori. Ma anche un filmato, questo sì, davvero toccante.

Per circa un’ora sullo schermo scorrono le testimonianze autentiche dei pochi sopravvissuti (attualmente meno di un migliaio) al disastro giapponese. Sentire la voce, i racconti degli hibakusha (letteralmente “coloro che sono stati colpiti dal bombardamento”), il dramma dell’esplosione non meno delle malattie gravi che hanno dovuto affrontare loro stessi e le generazioni successive, porta a pensare alla potenza della umana malvagità. Il progetto Manhattan, che portò al perfezionamento della bomba atomica, fu avviato nel 1942 e si concluse nel 1945. Impiegò 150mila dei migliori cervelli dell’epoca per un costo pari a 2 miliardi di dollari, il corrispettivo di circa 30 miliardi di dollari attuali. Fu messo in campo per sconfiggere il nemico tedesco, che sembrava stesse agendo sulla stessa linea. Ben presto si comprese che il nemico non stava costruendo alcuna bomba.

E, per di più, nel 1945 la Germania si arrese agli alleati. Morto Roosvelt, il successore Truman si dichiarò favorevole al “test” della bomba su una città giapponese. Alcuni scienziati cercarono di dissuaderlo da un simile attacco sulla popolazione inerme, proponendo di impiegare la bomba a scopo dimostrativo, in un’area deserta. Il loro appello rimase inascoltato. Le due bombe portarono alla morte immediata oltre 200mila persone. E molte vite furono spezzate a breve dagli atroci effetti delle radiazioni. Oggi al mondo ci sono circa 16mila ordigni atomici. Ne basterebbe soltanto uno a produrre una devastazione inimmaginabile. Tutto questo spinge inevitabilmente a riflettere sull’umana natura e sulla sete di potere. Basterebbe pensare alle ingenti somme impiegate nella “spesa bellica” e alle grandi menti messe a disposizione della distruzione.

Basterebbero solo 5 miliardi di dollari l’anno per eliminare fame e malnutrizione, 9 miliardi per garantire la scolarizzazione a tutti i bambini del globo, 60 miliardi per fermare AIDS e malaria e ridurre mortalità infantile e materna per oltre due terzi. Se gli stessi sforzi, in termini di capitale umano e impegno economico venissero dispiegati per la sicurezza, la ricerca, e quindi per la vita, a quest’ora probabilmente avremmo vinto molte battaglie, forse anche quella contro i tumori.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:17