Il Manifesto di Ventotene/ 4

Pubblichiamo la quarta parte della nostra "breve storia" del pensiero federalista italiano.

Parlando di Europa e della genesi del Federalismo Europeo contemporaneo, il Manifesto di Ventotene rappresenta il più alto momento di modernità filosofica del tema. Il Manifesto viene scritto da Ernesto Rossi e Altiero Spinelli nel 1941 quando si trovano confinati nell'isola di Ventotene. Il Manifesto circola prima in forma ciclostilata e successivamente viene pubblicato clandestinamente a Roma nel gennaio 1944, in piena occupazione nazista. L’elaborato viene intitolato Problemi della federazione europea, reca le sigle A.S. (Altiero Spinelli), E.R. (Ernesto Rossi) ed è curato dal giovane filosofo Eugenio Colorni, che, mettendo in luce la crisi dello stato nazionale, sottolinea nella prefazione la necessità di ripensare l'assetto geopolitico internazionale, così argomentando: “Si fece strada, nella mente di alcuni, l'idea centrale che la contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la nostra società, è l'esistenza di stati sovrani, geograficamente, economicamente, militarmente individuati, consideranti gli altri stati come concorrenti e potenziali nemici, viventi gli uni rispetto agli altri in una situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes”.

I tre intellettuali previdero la caduta dei poteri totalitari e auspicarono che, dopo le esperienze traumatiche della prima metà del Novecento, i popoli sarebbero riusciti a sfuggire alle manovre di restaurazione delle élites conservatrici. Secondo loro, lo scopo di queste sarebbe stato ristabilire l'ordine prebellico. Per contrastare queste forze si sarebbe dovuta fondare una forza sovranazionale europea, in cui le ricchezze avrebbero dovuto essere redistribuite e il governo si sarebbe deciso sulla base di elezioni a suffragio universale. L'ordinamento di questa forza avrebbe dovuto basarsi su una “terza via” economico-politica, che avrebbe evitato gli errori di capitalismo e comunismo, e che avrebbe permesso all'ordinamento democratico e all'autodeterminazione dei popoli di assumere un valore concreto.

Il Manifesto rimane ancora oggi uno dei più validi e significativi fondamenti della letteratura politica federalista. Il Manifesto rappresenta la nascita di una vera e propria ideologia federalista europea, ponendo come base della civiltà moderna “il principio della libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”. Fin troppo facile è richiamare il pensiero economico di John Maynard Keynes e dell’attualità del “deficit spending” e di quanto scritto dal suo epigono Anthony Giddens nel suo saggio titolato appunto “La terza via”, ove si sottolinea la necessità di rifondare la socialdemocrazia, attraverso concetti come la democrazia cosmopolita, che mitiga gli egoismi di stati unici su latri, anche per motivi etnici o religiosi; come il governo mondiale, la meravigliosa utopia di Cattaneo e Spinelli, il welfare positivo, ove gli investimenti nella cultura della solidarietà istituzionale rappresentano il superamento dell’atteggiamento elemosiniere verso i cosiddetti poveri. Tornando a Ventotene, sottolineiamo che siamo nel 1944 e che il Manifesto e i suoi autori teorizzano come causa prima dell'imperialismo e delle guerre mondiali la teoria della ragion di Stato e l'esercizio della sovranità statale.

In un sistema esclusivamente formato da stati nazionali si auspica una strategia politica-economica completamente autonoma e innovativa rispetto ai precedenti assetti. In primo luogo si pone con urgenza la prerogativa di realizzare una Federazione Europea: obiettivo nient'affatto utopico considerando ex post il verificarsi della crisi post-bellica dello stato nazionale. Il nuovo ordinamento internazionale avrà più autorevolezza nell'ambito della risoluzione dei conflitti, frenando l'impulso di ciascuno Stato ad accrescere il proprio potere ed egoismo internazionale, evitando in tal modo che la libertà politica e le problematiche sociali ed economiche vengano oscurate dal tema della sicurezza militare o, peggio, dell’arroganza bellica. Si darà pertanto origine ad una netta divisione tra coloro che continueranno a promuovere una forma stantia di lotta politica a sostegno del potere nazionale e, al contrario, coloro che coopereranno per dar vita all’unità internazionale basata sulla dialettica e sulla solidarietà. Il messaggio socio economico di Ernesto Rossi. Come vediamo, il pensiero dei federalisti è caratterizzato da un’attualità folgorante, che si concretizza ulteriormente negli scritti socio economici di quelle menti illuminate.

Ne I Padroni del vapore (1954) Ernesto Rossi, la cui corrispondenza epistolare con Luigi Einaudi rappresenta un faro per chiunque si occupi di analisi dei fenomeni sociali, esamina la politica economica e l'atteggiamento di alcuni ambienti industriali prima e durante il fascismo, estendendo a questo periodo critiche ed appunti che aveva elaborato con riferimento alla situazione presente. Se, dunque, la genesi del capitalismo italiano a causa di una ristrettezza iniziale di capitali e della mancata compattezza di sviluppo tra nord e sud, è riconducibile alla dipendenza e talora all’arbitrio di gruppi bancari, industriali e politici, inevitabilmente le caratteristiche del suo sistema sono sempre state la difficile concorrenza, la mancanza di regole di controllo, lo sviluppo talora spontaneo di cartelli e monopoli. Rossi si pone già nel primo dopoguerra il tema della trasparenza dell'intero sistema, auspicando un'azione di netta discontinuità con la politica delle partecipazioni statali e del protezionismo doganale. Avendo ben chiaro il confine europeo, Ernesto Rossi non indirizza le critiche al conseguimento del profitto da parte degli industriali quanto piuttosto “alle licenze, alle concessioni esclusive, ai favoritismi messi in atto dall'imprenditoria nel finanziamento dei giornali, dei partiti politici, delle campagne elettorali, consentendo a uomini di loro fiducia d'inserirsi nei gangli vitali delle istituzioni”.

La critica è perciò rivolta tanto all’eccessivo individualismo incurante della miseria allora largamente diffusa in ampi strati della popolazione, quanto al monopolio statale di quasi tutti i mezzi di produzione, alla burocratizzazione esasperata di tutta la vita economica. Non a caso una sua opera immediatamente successiva ha per titolo Abolire la miseria, ove Rossi individua la molla propulsiva dell'economia nel dinamismo economico che permetta di aumentare i mezzi materiali per la soddisfazione dei bisogni umani. Il protagonista del dinamismo economico è “colui che ha avuto l'audacia di avventurarsi in territori ancora inesplorati dai Monopoli e che ha segnato le prime tracce di un cammino che ha poi permesso a tutta l'umanità di procedere sicura”.

(4/ Continua)

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:36