Il ruolo del “Mondo” di Mario Pannunzio/ 5

Pubblichiamo la quintaparte della nostra "breve storia" del pensiero federalista italiano.

Nel febbraio 1949 esce il primo numero de “Il Mondo”, che Ernesto Rossi vede come la prosecuzione palese e non più clandestina del Manifesto di Ventotene, definendolo quella “terza forza”, né comunista, né repubblicana, critica nei confronti dei privilegi, delle camorre, degli sperperi e delle ingerenze clericali nello Stato. Scrivendo a Gaetano Salvemini, che era ancora negli USA, lo esorta a collaborare facendogli presente che già sono in staff Altiero Spinelli, Ignazio Silone, Alessandro Levi e Cesare Musatti, a conferma di voler dare al giornale un contenuto sempre più federalista. Il giornale affronta per volontà del fondatore Mario Pannunzio e di Ernesto Rossi un ampio orizzonte di problematiche, percorsi e obiettivi politico-sociali.

Le istanze di maggiore urgenza riguardano la priorità di abrogare talune leggi fasciste ancora presenti all'interno della Costituzione, e immediatamente dopo la realizzazione della Federazione europea, con l'approvazione di leggi antitrust, la diffusione e la difesa della cultura e del pensiero laico europeo all'interno della scuola statale, “l'abolizione della miseria” appunto, espressione che faceva commuovere Spinelli, l'urgenza di regolamentare gli ambiti relativi al divorzio e al riconoscimento dei figli cosiddetti illegittimi. Già nel Manifesto di Ventotene Ernesto Rossi aveva constatato la crisi dello Stato nazionale che, fondendo insieme Stato e nazione, ha accentuato le tendenze autoritarie all'interno dei confini nazionali e quelle aggressive sul piano internazionale. Per contrastare entrambe queste tendenze il Mondo sostiene la necessità di riorganizzare in senso federale l'Europa in modo che tutti gli Stati europei lascino le loro decisioni in alcune delicate materie (moneta, politica estera, politica economica, difesa, ecc.) a uno Stato internazionale superiore a ognuno di loro.

Gli “uomini ragionevoli”, infatti, secondo la definizione di Pannunzio, devono constatare la dannosità di organismi internazionali che non si strutturino in modo federale e che non siano mentalmente pronti ad intervenire anche militarmente per garantire la sopravvivenza di un'Europa federale. Di più, l’elaborazione politologica di Altiero Spinelli teorizza un'organizzazione politica veramente sopranazionale capace non tanto di conquistare il potere, che per definizione presuppone l’arroganza, quanto piuttosto di creare l’esercizio del governo: questo è il compito del Movimento Federalista Europeo. Nella assoluta continuità con i pensatori federalisti, anche per Spinelli l'obiettivo di valore del federalismo è la pace; è inevitabile quindi che la Federazione europea non possa che rappresentare un punto di passaggio per un qualcosa di ancora più grande, di un qualcosa che richiama gli echi del progetto di Kant: una federazione mondiale.

Infatti, come recita con un fascino quasi profetico il Manifesto di Ventotene, “quando, superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l'umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire in cui diventi possibile l'unità politica dell'intero globo”. L'europeismo di tutti gli esponenti del “Mondo” e di Spinelli in particolare presenta pertanto un valore eminentemente difensivo, come di fatto si è verificato negli ultimi 60 anni (il recente Premio Nobel non è casuale). E’ mettere sul piano analitico il confronto fra lo Stato democratico - parlamentare e quello totalitario, fra chi rivendica la necessità che il diritto non sia limitato dalle frontiere e chi difende la barbarie in nome della sovranità nazionale.

Un ulteriore riferimento storico, politico, economico e morale fu per Spineli, Rossi, Conti e Pannunzio il giurista Silvio Trentin, secondo cui l'uomo libero al di fuori dello Stato è antisociale. Per Trentin il concetto di Stato è direttamente riconducibile alla società, poiché esso costituisce il principio su cui si basa la convivenza civile. La convivenza civile è possibile nel modello federalista, su cui si fonda la coscienza istituzionale.

(4/ Continua)

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:36