II
ESTERI
II
La Nato ascolta i giovani della primavera araba
di
STEFANO MAGNI
oma, 58^ Assemblea Generale
dell’
Atlantic Treaty Association
.
Il focus principale verte, ovviamente,
sul futuro di un’alleanza in cerca dei
suoi nuovi obiettivi, di una nuova
forma di cooperazione in un perio-
do di crisi economiche e di tagli al
budget della difesa. «Lo scopo prin-
cipale è e resta la deterrenza e la di-
fesa – come ricorda Antonella Ce-
rasino (divisione diplomazia
pubblica della Nato) – siamo soliti
pensare che la guerra sia un proble-
ma del passato, ma non possiamo
prevedere che cosa possa accadere
nei prossimi anni. Un esempio di di-
fesa che si è resa improvvisamente
necessaria è lo spiegamento dei mis-
sili Patriot al confine meridionale
della Turchia».
Eh già. Il Medio Oriente è al
centro delle preoccupazioni e della
speranze dell’Alleanza Atlantica. Il
2011, l’anno della Primavera Araba,
ha cambiato tutto. La Siria, con la
sua lunga guerra civile, è tuttora la
principale minaccia di destabilizza-
zione ai confini orientali (Turchia)
della Nato. Altrove, nella regione
mediorientale, le rivoluzioni di due
anni fa hanno creato sia rischi che
opportunità. Una grande colpa
dell’Europa (e della stessa Alleanza)
è di non aver capito quel che matu-
rava, già da anni, nelle società del
Mediterraneo meridionale. Meglio,
a questo punto, far parlare i diretti
interessati. Amira Mekheimar, ricer-
catrice egiziana, testimone oculare
della Rivoluzione di Loto, ci spiega
R
questa difficile fase di rivoluzione
nella rivoluzione che il suo Paese sta
vivendo. «Per capire meglio la si-
tuazione occorre capire prima le ca-
tegorie sociali e politiche in gioco.
Ci sono quelli che noi chiamiamo
“Lemon squeezer” (spremitori di li-
moni, ndr). Deriva da un motto egi-
ziano: “quando non ti piace man-
giare qualcosa, spremici sopra un
limone”. I Lemon Squeezer odiano
ferocemente i Fratelli Musulmani.
Ma odiano anche, ogni giorno di
più, anche la controrivoluzione.
Quindi devono spremere un limone
su loro stessi ed entrare in politica.
Un’altra categoria sono i Sofa Par-
tiers, che non si sono mai impegnati
in politica, ma prendono le infor-
mazioni dalla Tv dei talk show. Ed
hanno visto che Morsi ha vinto le
elezioni solo per un pelo». Opposi-
zioni così sparse, apolitiche e remis-
sive erano dunque poco o nulla pre-
parate alla presa del potere da parte
dei Fratelli Musulmani. Tuttora non
esiste alcuna opposizione coerente
e organizzata. Ma questo non vuol
dire che il nuovo potere sia eterno.
Prova ne sono le nuove ondate di
protesta contro il presidente Mo-
hammed Morsi, generate dallo stes-
so modo di governare del nuovo
presidente. A novembre, «Solo due
giorni dopo l’inizio delle proteste
contro i Fratelli Musulmani, abbia-
mo appreso che Morsi avesse ema-
nato dei decreti speciali, conferendo
più poteri alla carica presidenziale
e rendendosi pressoché immune al
giudizio della magistratura». Inoltre
«il comitato costituente era stato già
abbandonato, per protesta, da tutte
le forze liberali. Dunque si può solo
immaginare chi abbia redatto e poi
approvato la nuova bozza di Costi-
tuzione. E che tipo di Costituzione
sia emersa». Nel pieno della prote-
sta, alle 3 del mattino, è stata an-
nunciata l’approvazione della nuova
bozza costituzionale, pronta per es-
sere sottoposta al voto popolare con
un referendum fissato due settimane
dopo. La fretta con cui sono com-
pletati i lavori costituenti è stata vis-
suta come un vero colpo di Stato.
Cosa succederà adesso? «In sei
mesi, Morsi ha fatto più danni di
30 anni di Mubarak». Ma, come ri-
petono i democratici egiziani: «Oggi
c’è una rivoluzione, domani ci sarà
una rivoluzione, dopodomani ci sa-
rà una rivoluzione. Prima o poi vin-
ceremo».
Nabila Ramdani, giornalista e
analista algerina, è convinta che la
gioventù sia il motore principale di
questa ribellione permanente: «I 2/3
della popolazione hanno meno di
25 anni. I partiti tradizionali hanno
perso il treno della rivoluzione, sono
arrivati tardi. Il messaggio per il
cambiamento non è arrivato da libri
o pamphlet, non c’è alcun Manife-
sto, né alcun guru ideologico. Il mo-
vimento parte da giovani che comu-
nicano con i social media. Questi
strumenti hanno permesso alla ri-
voluzione di estendersi in pochi
giorni, di far scendere la gente in
piazza, letteralmente, in pochi mi-
nuti. Nuove tecnologie e la necessità
di riforme economiche hanno im-
posto il cambiamento. I giovani ara-
bi non dimenticheranno mai le im-
magini di giubilo in luoghi simbolo
come piazza Tahrir. Ed è un grave
errore considerare la Primavera Ara-
ba come un fenomeno esaurito. È
un processo in corso. Bahrein e Ye-
men sono tuttora instabili. In Siria,
una sola famiglia sta continuando
a massacrare il suo stesso popolo».
Uno dei protagonisti della rivolu-
zione dei social media arabi è Sultan
al Qassemi, blogger, giornalista ed
esperto di new media degli Emirati
Arabi Uniti. Il suo profilo Twitter è
attualmente uno dei più seguiti nel
mondo. Premette che: «I governi
arabi non amano la libertà dei social
media. In Paesi in cui, da un quarto
alla metà dei giovani, sono disoccu-
pati, dove un terzo della popolazio-
ne vuole emigrare, i social media so-
no una via di fuga, un modo per
flirtare con le ragazze e l’unico si-
stema possibile per parlare di poli-
tica. Si contavano 20 milioni di nuo-
vi utenti all’inizio del 2011. Alla fine
dello stesso anno erano 36 milioni.
E il numero è in continua crescita.
Twitter ha conosciuto uno sviluppo
del 400%. Nei primi tre mesi della
rivoluzione (gennaio, febbraio, mar-
zo 2011) sono stati registrati 22 mi-
lioni di tweets in arabo. Nei primi
tre mesi dell’anno successivo si con-
tavano ben 172 milioni di tweets.
90 milioni di video vengono scari-
cati ogni mese in Arabia Saudita,
dove non ci sono cinema. Facebook
e Twitter sono diventati il nostro
parlamento». Ma… «i governi ini-
ziano a reagire. In tutte le costitu-
zioni vengono introdotti limiti alla
libertà di espressione, specialmente
nel golfo persico. Meglio se sono
leggi ambigue e vaghe, in modo da
far rientrare chiunque disturbi. Il
Kuwait, che è sempre stato visto co-
me la culla della libertà nel Golfo,
adesso sta diventando sempre meno
libero, con la legge contro la diffa-
mazione dell’Emiro. Eserciti di gio-
vani attivisti filo-governativi, attac-
cano i social media spammando
messaggi di disturbo. È diventato
necessario condividere la propria
password e il proprio user id per
evitare di farsi silenziare, passando
ad altri il proprio testimone». Il la-
voro da fare è ancora lungo, dun-
que: il governo ha imparato a usare
i social network a modo suo. Il
Grande Fratello ti continua a guar-
dare, anche se credi di essere al si-
curo davanti al tuo computer.
A Roma l’Assemblea
Generale dell’Atlantic
TreatyAssociation.
Focus sul Medio Oriente
«È un errore considerare
la primavera araba
come un fenomeno
ormai del tutto esaurito»
Daimedia di sinistra altremenzogne contro Israele
tavolta le nuove menzogne anti
israeliane, prontamente riprese
in Italia dal
Manifesto
e da alcuni
siti “militanti” della estrema sinistra,
promanano direttamente dal quo-
tidiano
Haaretz
, che potrebbe essere
presto oggetto di
class action
da
parte di ebrei dentro e fuori Israele
proprio per questo: il governo viene
accusato di avere avallato una cam-
pagna di somministrazione presso-
chè forzata di anti concezionali alle
donne etiopi per deprimerne il tasso
di natalità. Si tratta di quei falascià
per salvare i quali dalle persecuzioni
islamiche lo stato israeliano a metà
degli anni ’80 mobilitò addirittura
un ponte aereo. Una storia su cui
sono stati fatti dei film e che eviden-
temente qualcuno ha interesse a
sporcare con queste notizie del tutto
incontrollate e incontrollabili.
Da cosa parte quindi l’interes-
sata diffusione di questa che po-
tremmo per ora limitarci a definire
“leggenda metropolitana”? Ripren-
diamo quanto hanno scritto i co-
siddetti siti indipendenti: «Un’in-
chiesta del quotidiano israeliano
Haaretz – che ha indagato sul crollo
delle nascite all’interno della comu-
nità etiope – ha portato alla luce la
pratica diffusissima di somministra-
zione del Depo Provera alle migran-
ti africane, spesso contro la loro vo-
lontà o addirittura a loro insaputa.
Una donna ha rivelato che le hanno
spacciato l’anticoncezionale come
un vaccino. E che, nonostante il loro
rifiuto, erano obbligate a prenderlo
ogni tre mesi. Dall’inchiesta si evince
che in Israele il 57% delle consu-
S
matrici del Depo Provera è dato da
donne etiopi, nonostante questa co-
munità sia meno del 2% della po-
polazione totale. L’uso massiccio –
e non voluto – del contraccettivo
all’interno della comunità etiope era
stato inizialmente segnalato nel
2008 da Rachel Mangoli, che gesti-
sce un centro di cura con circa 120
bambini etiopi a Bnei Braq, nella
periferia di Tel Aviv. La donna aveva
notato che in tre anni era arrivato
soltanto un nuovo bambino. “Ho
iniziato a pensare a quanto fosse
strana la situazione: ho dovuto ri-
mandare indietro i vestiti che ci han-
no donato, perché nella comunità
non c’era nessuno a cui darli“, ha
dichiarato».
Ma è vero tutto ciò? Ha dubbi
forti in proposito il professor Ugo
Volli commentatore di prestigio per
il sito
informazionecorretta.com
. «Il
Joint, che è il comitato internazio-
nale, con base in America, incaricato
di soccorrere gli ebrei nelle condi-
zioni più difficili, ha negato di avere
mai imposto a nessuno trattamenti
anticoncezionali – spiega Volli in un
intervento – lo stesso ha fatto la
Soknut, l’Agenzia ebraica diretta da
un eroe dei diritti umani come Na-
tan Sharanski. Il ministero della Sa-
lute israeliano ha prontamente proi-
bito alle sue strutture di usare gli
anticoncezionali iniettabili, in attesa
di un’inchiesta e ha negato anche
lui che ci fosse qualunque politica
di diffusione obbligatoria di anti-
concezionali in qualunque strato
della popolazione. C’è chi ha attri-
buito il calo di fertilità alle donne
etiopi alle diverse condizioni di vita
fra Israele e l’Africa più affamata, e
in genere si tende a pensare che gli
anticoncezionali siano una vittoria
delle donne, che permette loro di re-
golare la loro fecondità. Fra l’altro
si è scoperto che l’anticoncezionale
iniettabile è molto usato in Etiopia
e pochissimo in Israele». In realtà
sembra che
Haaretz
abbia riciclato
per nuova un’ inchiesta televisiva
di cinque anni orsono basata su
una specie di candid camera. Una
telecamera nascosta in una clinica
locale aveva registrato queste pa-
role, pronunciate da un’infermiera
e riprese da
Times of Israel
: «Il
trattamento è riservato principal-
mente alle donne etiopi perché
queste dimenticano, non compren-
dono, è difficile spiegare loro le co-
se, quindi la cosa migliore è farle
una puntura ogni tre mesi... non
comprendono nulla di quello che
accade loro». Ecco tanto è bastato
per scatenare l’ennesima campagna
d’odio anti-israeliano della sinistra
israeliana e internazionale, su cui,
neanche a dirlo, si è buttato a pe-
sce l’unico quotidiano italiano che
continua a gloriarsi della propria
identità comunista.
La cosa puzza di montatura go-
ebbelsiana, ma sebbene il tempo sia
galantuomo con Israele accade un
po’ quello che succede con le per-
sone coinvolte nelle inchieste penali
in Italia: le manette finiscono in pri-
ma pagina, i processi con le assolu-
zioni a pagina 27 in un trafiletto dai
toni imbarazzati.
DIMITRI BUFFA
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 5 FEBBRAIO 2013
5
1,2,3,4 6,7,8