II
CULTURA
II
Le statue di Napoli, simbolo del declino della città
di
ACHILLE DELLA RAGIONE
e statue di Napoli, per quanto
molte, se non tutte, versano in
uno stato deplorevole di conserva-
zione, raccontano la storia della cit-
tà. Raccontano, alcune urlano per
lo scempio di cui sono state fatto
oggetto dai cittadini e da un’ammi-
nistrazione distratta e colpevole. Al-
cune sono nate per un motivo este-
tico ma la maggior parte vogliono
ricordare un evento storico o inten-
dono rammentare un personaggio
eminente della vita cittadina o della
nazione: marmi e bronzi che cerca-
no di glorificare l’esempio di uomini
che hanno dedicato la propria esi-
stenza all’arte, alla medicina, alle let-
tere, al diritto. Più che per corso to-
pografico seguiremo un criterio
cronologico, partendo dagli esem-
plari che ci descrivono le origini del-
la città, per cui prenderemo in esame
il gruppo della sirena Partenope, la
quale, secondo la leggenda, si uccise
per amore di Ulisse ed il suo corpo
fu sospinto dalle onde del mare sugli
scogli dove sorse la città detta in se-
guito di Neapolis.
Oggi troneggia imponente al
centro della piazza dedicata al poeta
Jacopo Sannazaro ed è composta
da una gigantesca sirena emergente
dalle onde in un tripudio di animali
marini grandi e piccoli e poggia so-
pra uno scoglio con alghe e flora
acquatica, eseguita dallo scultore
Onofrio Buccini. Originariamente
nel 1869 fu collocata nei giardini
antistanti la vecchia stazione ferro-
viaria per essere trasferita dove
l’ammiriamo oggi nel 1924, quando
venne inaugurata l’adiacente Gal-
leria Laziale.
Un’altra famosa statua che ci
porta indietro nel tempo, in epoca
romana, è quella posta a piazzetta
Nilo, più nota come largo Corpo di
Napoli, centro geometrico della cit-
tà, in una zona dove abitava la co-
lonia Alessandrina costituita da mer-
canti egiziani. Essa è costituita ,
almeno come la vediamo a partire
dal 1667, da una poderosa figura
barbuta, distesa sul fianco sinistro
e sostenente col braccio destro una
cornucopia di frutta, ma un cronista
L
del XIII secolo la presentava come
una donna con i figli che raffigura-
vano gli affluenti del Nilo, fiume sa-
cro perché grazie alle sue periodiche
inondazioni ha sempre reso fertili le
terre contigue al suo interminabile
decorso, messe in evidenza dalla cor-
nucopia. Sul basamento vi è una
lunga epigrafe latina, che spiega la
tormentata storia del monumento.
Rimanendo in ambito mitologi-
co citiamo, nei giardini di piazza Ca-
vour, una fontana ellittica che ospita,
su una base di mattoni, una statua
di bronzo raffigurante un tritone,
una divinità metà pesce e metà uo-
mo, figlio di Poseidone, che irrora
con un getto d’acqua dalla bocca la
circostante fontana, che un tempo
ospitava delle paparelle, ma che già
negli anni ’50 (e posso testimoniarlo
personalmente, perché ho frequen-
tato per sei anni, asilo ed elementari,
il vicino Istituto Froebeliano) era di-
ventata ricettacolo di rifiuti galleg-
gianti, dove d’estate gioiosamente
sguazzavano torme di scugnizzi.
Un’altra piccola fontana, trasfor-
mata oggi in pubblico orinatoio, è
la vasca circolare di porfido, prove-
niente dal tempio di Poseidone a
Paestum, nella quale sono disposti
quattro leoni di marmo di stile egi-
zio realizzati da Pietro Bianchi nel
1825, quando si trasferì, per toglier-
lo dalle intemperie, il celebre gruppo
marmoreo del Toro Farnese, oggi
tra i gioielli del Museo Archeologico.
Lo stesso artista, alcuni anni prima
(1812-16), aveva realizzato otto sta-
tue simili di leoni egizi nell’emiciclo
della chiesa di San Francesco di Pao-
la in piazza del Plebiscito.
Rimanendo nella stessa piazza
descriviamo l’imponente monumen-
to equestre dedicato a Carlo di Bor-
bone, immortalato nel bronzo dal
celebre Antonio Canova nel 1818.
Essa fa da pendant alla statua eque-
stre di Ferdinando I di Borbone, che,
commissionata anche essa al Cano-
va, fu completata dal napoletano
Calì per l’improvvisa scomparsa del-
lo scultore trevigiano. Entrambi i
sovrani sono raffigurati con un in-
cedere solenne e vestiti alla romana,
segno evidente del dominante gusto
neoclassico dell’epoca.
Sulla facciata di Palazzo Reale
per volere del re Umberto I di Sa-
voia furono collocate nel 1888 otto
statue marmoree raffiguranti i più
rappresentativi sovrani delle dinastie
che hanno regnato a Napoli. Essi
sono in ordine cronologico, parten-
do da sinistra avendo di fronte la
facciata: Ruggero il Normanno,
opera del Franceschi; Federico II,
scolpito dal Caggiano; Carlo I d’An-
giò, scolpito dal napoletano Solari;
Alfonso V d’Aragona, realizzato dal
D’Orsi; Carlo V d’Asburgo-Spagna,
su un modello del Gemito; Carlo III
di Borbone, immortalato dal Bel-
liazzi; Gioacchino Murat, eseguito
da Amendola ed infine Vittorio
Emanuele II di Savoia, primo re
d’Italia, realizzato da Jerace.
Sono tra le statue più note della
città, poste in una piazza annoverata
tra le più belle d’Europa, soprattutto
per la barzelletta che ogni napole-
tano conosce giocata sulla gestualità
delle ultime tre statue: la prima sem-
bra chiedere: chi ha fatto pipì qui a
terra; la seconda: sono stato io; la
terza: allora ti taglio il membro.
Andando avanti nel tempo arri-
viamo al 1799 ed al relativo monu-
mento che ci ricorda l’evento in
piazza dei Martiri. Il monumento
sorse per volere di Ferdinando II do-
po i disordini del 1848 e fu affidato
all’architetto Enrico Alvino, che rea-
lizzò il basamento ed il piedistallo
con la colonna. Poi i lavori furono
interrotti per la morte del sovrano,
per riprendere alcuni anni dopo con
la collocazione in vetta della bronzea
Vittoria alata realizzata dal Caggia-
no. Alla base furono posti quattro
leoni in marmo a simboleggiare le
quattro rivoluzioni napoletane: quel-
lo morente ricorda la rivoluzione
del 1799 e fu eseguito nel 1866 da
Busciolano; viene poi il leone ferito
a simboleggiare la rivoluzione del
1820, opera di Lista, firmato e da-
tato 1868; a sud compare il leone
indomito che regge tra gli artigli lo
Statuto del 1848, opera del 1866
del Ricca ed infine Solari realizza un
leone minaccioso che allude alla ri-
voluzione del 1860. Vi è poi un’epi-
grafe dettata da Giuseppe Fiorelli e
dedicata “Alla gloriosa memoria dei
cittadini napoletani caduti nelle pu-
gne o sul patibolo...”.
Tra le statue più belle che orna-
no la città vanno annoverati i due
bronzei domatori di cavalli che or-
nano l’ingresso dei giardini di Pa-
lazzo Reale, eseguiti dallo scultore
russo Clodt von Jurgensburg e do-
nati a Ferdinando II dallo zar Ni-
cola I nel 1846, per ringraziare il
sovrano napoletano che aveva ospi-
tato la zarina alla ricerca di un cli-
ma mite per meglio curare un fasti-
dioso malanno.
La statua forse più famosa della
città è quella dedicata a Dante Ali-
ghieri, eretta nell’omonima piazza
nel 1872 in omaggio all’Unità d’Ita-
lia. La piazza in precedenza si chia-
mava largo Mercatello perché lì si
svolgevano attivi commerci fino al
1757, quando il re Carlo diede in-
carico a Luigi Vanvitelli di creare il
cosiddetto Foro Carolino, un gran-
de emiciclo che avrebbe dovuto fare
da scenografia ad un monumento
dedicato al re.
Passando a statue dedicate a per-
sonaggi più vicini a noi nel tempo
come Giuseppe Garibaldi che viene
raffigurato a cavallo con le mani
protese in avanti, poggiate sull’im-
pugnatura della sciabola, l’opera
venne eseguita nel 1904 dallo scul-
tore fiorentino Zocchi e fu il motivo
per cui la commissione toponoma-
stica mutò il nome della piazza de-
dicata all’Unità d’Italia all’eroe dei
due mondi. In precedenza i napole-
tani l’avevano sempre chiamata “’a
piazza d’a stazione” a rammentare
che la prima ferrovia italiana, la Na-
poli-Portici, seconda al mondo, ven-
ne inaugurata nel 1839 e sarebbe
opportuno che si ritornasse all’an-
tico toponimo.
Su via Caracciolo si eleva mae-
stosa la statua equestre del generale
Armando Diaz, tra gli artefici della
vittoria della Grande Guerra (1918).
Sul davanti è riportato integralmente
il bollettino della Vittoria di cui ri-
portiamo l’epilogo: «I resti di quello
che fu uno dei più potenti eserciti
del mondo risalgono in disordine e
senza speranza le valli che avevano
disceso con orgoglio e sicurezza».
Infine descriviamo il monumento
al celebre clinico Antonio Cardarelli
di fronte all’ospedale ex 23 marzo
che da lui prese il nome attuale.
Concludiamo questa nostra car-
rellata lamentando la mancanza
gravissima di due statue da dedi-
care a straordinari personaggi che
hanno illustrato la città: Totò ed
Achille Lauro.
Un discorso a parte è costituito
dalle statue che sono poste sulla
sommità delle guglie: San Domeni-
co, San Gennaro e la Madonna, che
da secoli, solenni, parlano ai napo-
letani e nello stesso tempo ascoltano
le loro invocazioni. Rappresentano
dei simboli della religiosità popolare
e si presentano come straordinarie
macchine barocche in grado di fon-
dere in una mirabile sintesi architet-
tura e scultura, sacro e profano. At-
traverso la loro mole maestosa
hanno esaltato il potere della chiesa
e nello stesso tempo il trionfo fasto-
so e festoso dell’effimero. Erette per
esorcizzare pestilenze ed eruzioni
dominano le piazze alle quali con-
feriscono grande prestigio. Prodotte
dalla collaborazione di più artisti
raffigurano l’immagine devota della
città, fedele ai suoi riti e forte della
sua carica di fedele spiritualità.
Molte statue di Napoli,
se non tutte, versano
in uno stato deplorevole
di conservazione
e raccontano la storia
della città. Raccontano,
alcune urlano,
dello scempio
di cui sono state fatte
oggetto dai cittadini
e da un’amministrazione
distratta e colpevole.
Alcune sono nate
per un motivo estetico
ma la maggior parte
vogliono ricordare
un evento storico
o intendono rammentare
un personaggio eminente
della vita cittadina
o della nazione: marmi
e bronzi che cercano
di glorificare l’esempio
di uomini che hanno
dedicato la propria
esistenza all’arte,
alla medicina,
alle lettere, al diritto
L’OPINIONE delle Libertà
MARTEDÌ 5 FEBBRAIO 2013
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